TERAMO – Ergastolo con isolamento diurno e interdizione perpetua dai pubblici uffici: è la condanna che la Corte d’Assise di Teramo presieduta dal giudice Giovanni Cirillo (a latere Ileana Ramundo), ha emesso nei confronti di Romano Bisceglia. E’ stato lui, per i giudici togati e popolari, a strangolare Adele Mazza e ad averla poi fatta a pezzi, a Pasqua del 2010. I resti della donna furono poi trovati in una scarpata al ciglio di via Franchi, nella serata del 5 aprile. La camera di consiglio è durata una mattinata, dopo la breve replica dell’avvocato della difesa, Barbara Castiglione. Una sentenza pesante, che accoglie pienamente e su tutta la linea, la teoria accusatoria del pubblico ministero Roberta D’Avolio. «Non c’era alternativa – ha commentato il procuratore capo Gabriele Ferretti assieme al pm D’Avolio -, la sentenza è chiara: piena responsabilità penale dell’imputato, come da noi sostenuto». Accolta con le lacrime dalle sorelle della vittima, che alla pronuncia in aula della parola ergastolo, si sono abbracciati piangendo: «Siamo soddisfatte, adesso giusitizia è fatta – hanno detto Pina e Marilena Mazza -. Adesso veramente Adele può riposare in pace». Secondo quanto sostenuto nel corso delle udienze, Bisceglia avrebbe trascorso le festività pasquali con Adele Mazza, che conosceva da anni e con lei aveva un rapporto di convivenza saltuaria ma caratterizzata da violenze e costrizioni tese allo sfruttamento della prostituzione. Un rapporto deteriorato, sfociato con un atroce delitto perchè, ha sostenuto l’accusa, la donna voleva affrancarsi da una vita fatta di sofferenze e di degrado. Strangolata con una corda dopo essere stata probabilmente tramortita e poi sezionata in cinque pezzi, riposti poi in buste di plastica e portati, con un carrellino, fino al fossato di via Franchi per essere buttati e nascosti. Ad incastrare Bisceglia, soprattutto il Dna, quello estratto da un reperto, un pezzetto di adesivo che doveva servire per assicurare una delle buste di plastica al carrellino.
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