TERAMO – A uccidere Emanuele Fadani con un pugno al volto, fu Elvis Levakovic. Ma con lui sono responsabili della morte del commerciante 39enne di Alba anche gli altri due zingari che quella sera accompagnavano Elvis, i cugini Danilo Levakovic e Sante Spinelli. Per aver agito da branco, perchè avevano un movente comune, rivalersi per essersi visti rifiutare una dose di cocaina, e soprattutto perchè Emanuele fu colpito ancora una volta, quando era a terra agonizzante. Ma i tre non volevano uccidere, come spesso accade nelle spedizioni che vedono protagonisti i rom, la punizione esemplare, che resti a memoria della vittima, è l’obiettivo principale. Per questo quello fu un delitto preterintenzionale. Lo dicono i giudici della corte d’assise d’appello dell’Aquila nella motivazione della sentenza con cui, lo scorso 13 marzo, hanno "riletto" la sentenza con cui in primo grado il gip di Teramo aveva condannato il solo Elvis Levakovic a 10 anni di reclusione e assolto gli altri due rom albensi. Adesso anche Danilo e Spinelli scontano, agli arresti domiciliari, una condanna della stessa durata.
Il delitto. Emanuele Fadani, piccolo imprenditore, fu ucciso nella notte tra il 10 e l’11 novembre 2009 ad Alba Adriatica, nei pressi del pub "Black out", dove si era intrattenuto con l’amico e collega di lavoro Graziano Guercioni prima di intraprendere un viaggio di lavoro verso la Romagna. All’interno del locale incontrano i tre zingari, che conoscono da quando erano giovanissimi, anche loro già con un elevato livello alcolemico. Dapprima parlano, poi succede qualcosa che spinge Emanuele e Guercioni a uscire dal locale per avviarsi alla macchina: vengono rincorsi dai rom che continuano a chiedere quanto già fatto nel locale, cocaina. E’ il rifiuto degli altri due a ‘innervosire’ Danilo Lavakovic che colpisce con un pugno Guercioni, che cade a terra; la sequenza è però brevissima perchè quando Fadani interviene per chiedere spiegazioni, stavolta è Elvis che colpisce duro e lo fa con un pugno che ammazza l’imprenditore che cade a terra e muore di lì a poco.
Unico movente. La Corte presieduta da Fabrizia Francabandera e del consigliere relatore Luigi Catelli, fotografa l’unicità del movente nell’azione aggressiva. «La reiterata richiesta di sostanza stupefacente – scrivono i giudici dell’appello – prima nel locale poi all’esterno» è stato il motivo scatenante dell’azione aggressiva successiva. Un movente che ha riguardato tutti e tre gli zingari, che si sono diretti verso i due invece di avvicinarsi alla loro macchina parcheggiata nella direzione opposta: si tratta, secondo i giudici, di «sintonia d’azione e di interessi delinquenziali che gli imputati erano adusi palesare in frangenti analoghi a quelli incriminati, non già mesi o settimane prima, si badi, ma nello stesso giorno, anzi nel corso della stessa serata». La Corte fa riferimento a due episoti del tardo pomeriggio prima del delitto quando i tre si erano resi protagonisti, in due bar di Alba e Martinsicuro, dove avevano minacciato i baristi, sottraendo denaro da una ciotola vicino alla cassa nel primo caso e spaccando un finestrino di un furgone per rubare una borsa nel secondo, mostrando poi anche iuna pistola sotto la giacca. Poi, l’episodio delittuoso al "Black out".
Agire da branco. Questa è la caratteristica che mette insieme il concorso morale dei tre, oltre al colpo sferrato da uno solo di loro: l’«agir congiunto». I tre zingari, secondo la sentenza d’appello, mostrano una «disinvolta consuetudine di saper agire con rapidità e reciproco coordinamento nel commettere reati e nel riuscire a fronteggiare le conseguenze delle loro condotte». Nel caso di Fadani, la «comune volontà di reagire al diniego di cedere la sostanza stupefacente così insistemenete richiesta», con il «simultaneo, congiunto accerchiamento delle vittime». Il concorso morale di Danilo Levakovic e Sante Spinelli nell’omicidio di Fadani commesso materialmente da Elvis Levakovic, si è tradotto nell’essere presenti a sostegno della loro (dei tre) necesità di punire o sistemare un ‘conto in sospeso’. Per i giudici del secondo grado, il pugno sferrato a Guercioni da Danilo ha infuso maggior sicurezza di sè in Elvis e tolto di mezzo un altro elemento numerico del gruppo avversario, in modo tale da «incoraggiare e sostenere il proposito di chi si appresta ad agire». Ha cioè influito sul piano dell’oggettiva agevolazione della condotta materiale. Equivale, cioè, ad aver tirato quel pugno fatale.
Un altro colpo quando Fadani era a terra. E quello che era mancato nel primo grado, ovvero il sostegno al presunto pestaggio della vittima a terra, ovvero dell’esistenza di un altro o altri colpi inferti su Fadani a terra, si appalesa con tanto di motivazione, in questa ulteriore sentenza. C’è un secondo colpo subito dall’imprenditore deceduto, oltre al cazzotto al volto di Elvis: i giudici lo collocano tra questo e la morte di Fadani, quando questi era steso, agonizzante sull’asfalto della via. E’ quello che ha provocato una ferita escoriata alla regione frontale sinistra, che il consulente tecnico dell’accusa ha ritenuto «non d correlarsi nè alla caduta a terra della vittima e nemmeno a manipolazioni intervenute durante i soccorsi prestatigli, aggiungendo che la stessa molto verosimilmente era stata provocata prima della morte del Fadani ma successivamente al colpo letale ricevuto in regione periorbitaria sinistra». «La natura contusiva della ferita lascia pochi dubbi – dicono i giudici della corte d’asssise d’appello – sul fatto che la stessa è stata causata da un ulteriore colpo inferto alla vittima: pur non essendovi indicazioni ricostruttive in ordine alla paternità dello stesso, è assai verosimile che esso sia stato inflitto proprio nel momento in cui la vittima si trovava a terra circondata dagli imputati».
Perchè preterintenzionale e non omicidio volontario. L’intento dei tre zingari, si legge nelle motivazioni, «era punitivo… per dimostrare e far comprendere a Guercioni e Fadani come avrebbero dovuto in futuro comportarsi nei loro confronti, non più permettendosi di rifiutare quanto dagli stessi richiesto. Ciò non postulava l’eliminazione fisica delle vittime ma richiedeva espressamente che i due, per quanto violentemente percossi, rimanessero in vita…». La condotta degli imputati, dunque, «evidentemente dolosa, non era scientemente orientata, nemmeno a livello di previsione, a cagionare la morte della vittima ma a percuoterla e a ferirla: dunque il decesso di Fadani è da inquadrare piuttosto come una conseguenza, non voluta direttamente nè a titolo di dolo eventuale, del delitto di percosse e lesioni personali».