TERAMO – Denny Pruscino, "infuriato perchè aveva sorpreso la moglie in compagnia di un uomo in un bar, tornato a casa si è sfogato sul piccolo Jason: ha scaraventato il bambino contro una parete, l’ha infilato agonizzante in un sacchetto di plastica arancione, l’ha messo nel portabagagli dell’auto e si è diretto verso Casteltrosino", con la moglie Katia Reginella seduta accanto. E’ la versione choc che la stessa Katia, a processo insieme a Pruscino per l’omicidio e l’occultamento del cadavere del bimbo di Folignano, scomparso nel nulla a soli due mesi di vita nel giugno 2011, avrebbe raccontato all’amica d’infanzia Lucia Guarnieri, detenuta come lei in carcere a Teramo, e sentita oggi come testimone davanti alla corte d’Assise di Macerata. "L’auto – ha detto Guarnieri in aula – si è fermata dopo una curva: preso il bambino dal portabagagli, Denny ha capito che era ancora vivo e lo ha sbattuto a terra con violenza, mentre la moglie restava seduta in auto. Lui ha preso il fagotto con Jason e lo ha gettato in un dirupo". La teste ha aggiunto di aver chiesto a Katia perchè non avesse reagito al massacro del piccolo, riconosciuto da Denny anche se non era figlio suo: "Katia mi ha detto che era terrorizzata dal marito e aveva paura che le facesse del male". I difensori di Pruscino, gli avvocati Felice Franchi e Vittorio D’Angelo, hanno rivolto numerose domande alla teste contestando in più punti il suo racconto, mentre il difensore di Reginella, l’avvocato Vincenzo Di Nanna, ha chiesto di chiamare a testimoniare la soprintendente dal carcere di Teramo, Romina Fabi. Il pm Cinzia Piccioni non si è opposta, ma ha posto una serie di condizioni, e la corte si è riservata di decidere. Nell’udienza fissata per il 10 dicembre si saprà anche se è stata o meno accolta la richiesta di perizia psichiatrica avanzata dal legale di Katia. Sugli esiti della consulenza psichiatra già condotta su Denny Pruscino ha riferito oggi il dottor Marco Quercia. Gli atti di autolesionismo compiuti in carcere da Pruscino, ha sostenuto il perito, sarebbero frutto di un malessere connesso agli abusi subiti durante l’infanzia più che di "un’autentica volontà di togliersi la vita. Una forma di evasione dagli incubi che lo perseguitano".
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