TERAMO – Il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare ha finanziato il progetto di ricerca annuale dal titolo “Contaminanti ambientali e relativi effetti sul sistema nervoso centrale e sul sistema immunitario nei cetacei piaggiati”, le “sentinelle del mare”, presentato in qualità di coordinatore nazionale da Giovanni Di Guardo, docente di Patologia generale e fisiopatologia veterinaria dell’Università di Teramo. Un progetto che vede la partecipazione congiunta delle Università di Padova e di Siena e che è finalizzato a stabilire, attraverso una rigorosa metodologia scientifica, le correlazioni patogenetiche fra una serie di noxae biologiche (Morbillivirus, Toxoplasma gondii e Brucella spp) e di contaminanti ambientali immunotossici che i cetacei possono accumulare in quantitativi rilevanti nei propri tessuti. Tutto ciò dovrebbe aiutare a comprendere anche i ricorrenti fenomeni di spiaggiamento e di mortalità collettivi di questi animali. Il progetto, della durata di dodici mesi, si prefigge di fornire il corretto supporto tecnico-scientifico per la definizione dell’effettivo stato di salute e di conservazione delle popolazioni di cetacei dei mari italiani, per permettere al Ministero di esprimere una valutazione circostanziata dell’intensità degli effetti neurotossici e immunotossici causati dalle noxae biologiche e chimiche e, in particolare, se la loro magnitudo sia contenuta o meno entro i livelli di variabilità naturale degli habitat. Sul fenomeno dello spiaggiamento e sullo stato di studi e ricerche sui cetacei, compresi i recentissimi episodi di mortalità collettiva di stenelle striate lungo le coste tirreniche, Giovanni Di Guardo – componente La rete nazionale di sorveglianza sanitaria sui cetacei spiaggiati istituita dai Ministeri dell’Ambiente e della Salute – ha rilasciato recentemente un’ampia intervista pubblicata integralmente dalla rivista scientifica “Argomenti” del Sindacato Italiano Veterinari Medicina Pubblica. «Lo spiaggiamento collettivo, nel 2009, su 4 chilometri della costa garganica di sette capodogli di cui tre ancora vivi _ ha spiegato Di Guardo – ha dato un nuovo corso alla storia di questo tipo di interventi, considerando, oltre alle implicazioni scientifiche, quelle legate alla gestione di animali di quelle dimensioni. Bisogna andare indietro di 75 anni per avere una testimonianza simile sulle coste marchigiane». «La vicenda dei capodogli – ha aggiunto _ ha dato sul campo un nuovo impulso alle ricerche e indagini su questo fenomeno, confermando come l’approccio multidisciplinare e un lavoro di squadra sia stato indispensabile per raggiungere risultati di chiarezza e rilevanza scientifica».
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