TERAMO – Dall’ergastolo per l’omicidio volontario della ex convivente con vilipendio del suo cadavere a detenuto in attesa di giudizio: è il percorso all’indietro fatto da Romano Bisceglia – il 57enne teramano, accusato di aver strangolato e fatto in cinque pezzi la ex convivente Adele Mazza a Pasqua i tre anni fa – grazie alla sentenza emessa questa mattina dai giudici della Corte d’Assise d’Appello dell’Aquila. La sentenza con cui i giudici di Teramo lo hanno condannato al carcere a vita con isolamento diurno il 23 aprile dello scorso anno, è stata infatti annullata. Un femminicidio feroce, soprattutto perchè intervenuto a soffocare con il sangue la voglia di libertà di una donna sfruttata per traffici di droga e costretta a prostituirsi per portare denaro in casa, viene cancellato da uno dei cosiddetti ‘cavilli’ segnalato in udienza dal procuratore generale, Romolo Como: nel corso del processo due dei sei giudici popolari si sarebbero assentati in udienze diverse e sostituiti sempre dallo stesso giudice supplente. Processo da rifare dunque. «Voglio un caffè – sono state le prime parole pronunciate da Bisceglia -, ma adesso torno in libertà? – ha poi chiesto al suo difensore, l’avvocato Barbara Castiglione -». Non ci tornerà per il momento, non essendo in scadenza i termini di custodia cautelare, ma aspetterà in cella, nel carcere di Chieti dove è detenuto, il possimo autunno, stagione in cui è presumibile che la Corte d’Assise di Teramo, in altra composizione collegiale, tornerà a processarlo per omicidio volontario pluriggravato e vilipendio di cadavere. Attenderà anche che la sua difesa precisi meglio i contorni di alcuni aspetti dell’indagine, a suo dire lacunosi, che aveva indicato nei motivi di appello, compresa l’acquisizione di nuovi tabulati telefonici e la nomina di un nuovo consulente tecnico d’ufficio per stabilire con maggior esattezza la data della morte della donna. I cinque pezzi del suo corpo – arti inferiori, arti superiori e tronco – furono rinvenuti casualmente da un cane, il cui proprietario portava a passeggio nell’oscurità del 5 aprile 2010, in via Nicola Franchi, alle porte della città. Se il trasporto con un carrellino dei resti umani, chiusi in buste di supermercato e uno zainetto, dal luogo del delitto alla scarpata, non fosse stato compiuto maldestramente dall’assassino, forse quel corpo non sarebbe mai stato ritrovato. Un corpo sezionato con abilità chirurgica, quasi da mani esperte, di una donna già senza vita perchè strangolata con una corda, in una operazione condotta con calma e con molto tempo a disposizione. Ad incastrare Bisceglia era stato il Dna, estratto da un reperto, un pezzetto di adesivo che doveva servire per assicurare una delle buste di plastica al carrellino. «Non c’era alternativa – avevano commentato l’allora procuratore capo Gabriele Ferretti e il pm che aveva condotto le indagini, Roberta D’Avolio -, la sentenza è chiara: piena responsabilità penale dell’imputato, come da noi sostenuto». La sentenza era stata accolta con le lacrime dalle sorelle della vittima, che alla pronuncia in aula della parola ergastolo, si erano abbracciate piangendo: «Siamo soddisfatte, giustizia è fatta – avevano detto Pina e Marilena Mazza -. Adesso veramente Adele può riposare in pace». Quel cavillo ha rimesso tutto in discussione, in autunno si tornerà in aula, a Teramo e loro ritroveranno di fronte colui da cui Adele voleva fuggire.
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