TERAMO – «Hanno prosciugato la banca»: nei passaggi dell’ordinanza del gip di Roma, Wilma Passamonti, c’è la sintesi di come l’ex direttore generale Antonio Di Matteo era riuscito a sfruttare appieno la sua fama di mago della finanza, arrivando nell’ufficio di corso San Giorgio. Aveva ottenuto ‘carta bianca’ dal management, da quello stesso presidente Nisii per anni unico egemone della strategia politica e finanziaria della banca. Il gip romano che ha firmato l’arresto di Antonio Di Matteo, ex uomo Unipol formatosi alla Banca Popolare dell’Adriatico, parla di «potere assoluto di decisione sulle pratiche di concessione di finanziamenti al di fuori dei protocolli di garanzia». Non serve citare l’esempio della scalata alla Banca Antonveneta che il suo amico Giovanni Consorte aveva pianificato con il denaro della Tercas; bastano i 49 milioni di euro al re delle televisioni, il marsicano come lui Francescantonio Di Stefano: «Cospicue somme di denaro a titolo di finanziamento in carenza di presupposti di merito creditizio a fronte della disponibilità ad effettuare operazioni di acquisto con patto di rivendita di azioni della banca (cosiddetto Portage)». Era riuscito anche a promettere un finanziamento milionario alla ‘meteora’ cestistica Alfredo Capasso, socio di Lino Pellecchia nella BancaTercas Teramo basket che fu, per una lucrosissima operazione nel campo del fotovoltaico. Ma il suo regno era agli sgoccioli e le sue dimissioni impedirono il buon fine dell’affare. Alla fine, le sofferenze della banca sono arrivate a toccare quota 220 milioni. Mai, quando si insediò, nel 2005, avrebbe potuto pensare di lasciare un segno tanto tangibile della sua gestione, tanto profondo da minarne le fondamenta e arrivare a farla commissariare. Rilette oggi quelle pagine di storia della banca, sanno di beffardo. Una banca che poteva permettersi di competere con mezza Italia di pari e anche più grande dimensione, che allarga il suo campo d’azione alla realizzazione del polo bancario abruzzese con l’acquisizione di Caripe (i teramani che si comprano i pescaresi…), che può addirittura imitare Montepaschi anche nella pallacanestro, ebbene quella banca oggi mantiene soltanto il logo e per fortuna almeno ancora quello. Le 80 pagine del gip Passamonti sanciscono infatti una bancarotta non solo finanziaria ma anche storica. Ne scrivono l’epitaffio, ne sugellano il passaggio agli archivi della storia di questa città. Se lette bene potrebbero anche chiarire il ruolo, discusso e mai chiarito fino in fondo, tra il ‘grande’ direttore generale arrivato nel 2005 e il suo mentore (o ex?), l’avvocato Lino Nisii. Quell’«assoluto potere decisionale» chi lo aveva conferito a Di Matteo? Se l’era preso grazie alla forza delle sue amicizie tra i boiardi? L’indagine romana mette i brividi, ma non per le cifre iperbolliche e il destino della Tercas a cui esse sono legate a doppio filo. Perché l’inchiesta romana sul crac Di Mario, che ha trascinato come una piovra l’istituto di corso San Giorgio verso il baratro è soltanto la prima che arriva alla… foce. Purtroppo, quando il calderone della Banca di San Marino arriverà a bollitura, sentiremo ancora parlare della Tercas e forse di altri nomi teramani.
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