TERAMO – E’ Natale, un Natale ancor più particolare perchè caratterizzato da grandi difficoltà nella società e nelle famiglie. Ci si ritrova insieme nelle case ed è il momento più importante anche per riflettere. Una riflessione, doverosa, abbiamo deciso di farla anche noi di emmelle.it, incontrando chi, di parole e riflessioni, ne fa missione di vita. il vescovo di Teramo e Atri, monsignor Michele Seccia.
Eccellenza cosa significa per Lei il Natale?
L’affacciarsi del Mistero di Dio e della vita nel cuore.
La crisi può riportare il Natale, troppo spesso rappresentato come qualcosa di fiabesco per necessità consumistiche, più vicino allo Spirito della Chiesa?
Da un punto di vista religioso non ho dubbi. Dipende se siamo capaci di aprirci al mistero della vita e al concetto di dignità della persona abbandonando i personalismi. Sono i nostri comportamenti che devono cambiare perché la pace degli uomini è prima di tutto condivisione. “Gloria a Dio e pace agli uomini che egli ama”: è una condizione in cui ci si relaziona abbandonando le contrapposizioni.
Che auguri e quali preghiere formula per la sua Diocesi?
La fede è un dono e una responsabilità a cui tendere la vita. Ognuno di noi deve coltivarla per dare il suo contributo perché ciascuno di noi ha l’opportunità di dare un significato alla vita. Leggevo tempo fa i versi di una poesia di Giovanni Papini, noto anticlericale poi convertito, in cui recita: “Anche se Cristo nascesse mille e diecimila volte a Betlemme, a nulla ti gioverà se non nasce almeno una volta nel tuo cuore”. Ecco io credo che non può essere Natale se non interiorizziamo questo concetto e se non restituiamo il valore della persona. Perché affascina tanto papa Francesco? Perché la sua “umanità” lo rende persona. Abbiamo tutti bisogno di semplicità, di umiltà. Papa Francesco è un uomo, ma è anche Papa.
Monsignore, lei ha 16 anni di episcopato alle spalle di cui 7 a Teramo. Che anni sono stati per lei quelli qui in Abruzzo?
Il ricordo di San Severo e quegli anni di “rodaggio” li porto nel cuore. Un ricordo caro per tante situazioni e persone che ho avuto modo di conoscere anche per il fatto che mi fu affidata una diocesi che contava 37 parrocchie. Mi sentivo il parroco di un territorio più grande. Qui in Abruzzo sono molto contento per l’ambiente e il tipo di territorio che mi ha accolto, ma mi sono dovuto misurare con una realtà completamente diversa e più vasta. La Diocesi conta 186 parrocchie con comunità molto diverse tra loro, alcune spopolate per via della collocazione in montagna, altre invece con un fermento straordinario. E’ un territorio che dal mare alla montagna conserva delle peculiarità e delle differenze marcate al suo interno e che necessita di un grande lavoro di revisione pastorale della Diocesi. Apprezzo moltissimo di questo territorio la radicata tradizione religiosa, la fierezza e i valori che la gente d’Abruzzo continua a perpetrare, nonostante il lavoro di scalfitura che i moderni sistemi di comunicazione, internet e i social network stanno compiendo nei rapporti.
Lei come si pone nei confronti di questi strumenti?
Dico subito che io ho chiuso il mio profilo Facebook. Trovo che non sia pedagogico nella misura in cui attraverso questi strumenti si diffonde la moda dell’anonimato che trasforma tutti in “uomini-maschera”. Non mi piace l’idea del coraggio di dire “ho detto”, ma poi mi sono nascosto. Se si ha qualcosa da dire si deve farlo con coraggio, con un volto. Anche Papa Francesco lancia i suoi messaggi con un tweet, ma è la Chiesa che parla. Chi mi corrisponde dall’altra parte? E’ quello che ho ripetuto ad esempio su uno strumento come l’Araldo che ha compiuto 110 anni grazie al lavoro di tanti volontari che si sono spesi per tramandare uno strumento di comunicazione. Ho l’impressione che abbiamo bisogno di tornare indietro per andare avanti.
Quale è la situazione delle parrocchie teramane? All’onorevole Gianni Letta, durante l’inaugurazione del Lotto Zero, ha rivolto il suo appello per le condizioni dopo il terremoto. E’ stato raccolto?
Con il sisma dell’aprile 2009 sono stati 135 gli edifici di culto danneggiati. Nel frattempo che fossero completati i rilievi circa 20 chiese sono state riaperte grazie ai fondi della conferenza episcopale, della Diocesi e della grande disponibilità delle comunità parrocchiali. Penso ad esempio a Notaresco o a Mutignano dove i parroci si sono rimboccati le maniche provvedendo ad eseguire personalmente i lavori. Nell’ambito del progetto “100 chiese per Natale” (nato dall’accordo fra Dipartimento Protezione Civile e C.E.I. nel giugno 2009, che comprendeva la messa in sicurezza ed agibilità di circa 100 chiese, ndr) noi ne abbiamo indicate 20: abbiamo risolto la situazione per 18 edifici di culto. Restano da completare i lavori per Castelli e Tossicia. Inoltre sono in fase di ultimazione gli interventi per le chiese di Garrano, Forcella e Castagneto.
Per le emergenze della diocesi ha riscontrato la collaborazione e la presenza delle istituzioni o qualcosa è venuto a mancare?
Abbastanza, ma sappiamo anche quanto siano in difficoltà economiche gli enti locali. Il problema è che a pagarne le spese sono sempre gli ultimi. Ecco perché è fondamentale il sostegno della Caritas che nella diocesi di Teramo porta avanti un lavoro eccellente nonostante la crescita esponenziale di nuove povertà che minano nella dignità fasce sempre più larghe di popolazione e apre emergenze nuove.
Si è mai sentito a disagio quando fatti non propriamente ecclesiali l’hanno portata alla ribalta mediatica?
A volte c’è un pò di leggerezza e chi fa comunicazione ha interesse solo a dare la notizia e fare in modo che abbia risalto. Disagio no, ma certamente dipende da come le notizie vengono riportate.
In occasione del Sinodo straordinario sulla Famiglia (che si terrà ad ottobre) la Santa Sede ha pubblicato un maxiquestionario per capire come le parrocchie affrontano problematiche “sensibili” come la contraccezione, il divorzio, il matrimoni gay. Come si pone in relazione alle sfide della Chiesa sulla famiglia, riceve istanze ad esempio dai divorziati teramani sulla questione dei sacramenti?
Intanto sottolineo l’importanza di come la Chiesa si sia data come urgenza la famiglia e su di essa abbia posto l’accento anche in relazione all’esigenza di conoscere la realtà. E’ un dato di fatto che l’orientamento sociologico e la comunicazione vanno in una certa direzione. La Chiesa da una parte ribadisce quello che ha sempre insegnato, ma nemmeno si sottrae dal capire quello che succede. Questo però non va interpretato, come solitamente accade, che la Chiesa sta condannando o al contrario che la Chiesa stia operando un cambiamento o un dietrofront. Interrogarsi su temi come la coscienza e la libertà non significa stravolgerne i concetti. Non possiamo far finta di non capire che l’istanza del “bene” va distinta da ciò che “ci piace” o che ci conviene. Li confondiamo come sistema per nasconderci, come mi piace fare l’esempio ai bambini quando parlo di sistemi di comunicazione come gli sms. In ballo c’è un discorso pedagogico e questo non può prescindere dal dialogo. Certamente mi vengono formulate delle richieste in relazione ai sacramenti. E’ vero, ad esempio, che in percentuale celebriamo meno matrimoni in chiesa. Ma è vero che chi sceglie quel sacramento fa una scelta. Se io scelgo “ciò che è bene” lo rispetto come tale, se io scelgo “ciò che mi piace” è normale che un giorno potrebbe non piacermi più.
Una missione da compiere in questa diocesi di cui è orgoglioso e una che resta da compiere.
Una missione messa a segno è la stupenda esperienza in Brasile che sta facendo un sacerdote ordinato qui a Teramo e tornato poi in Sudamerica per svolgere la sua attività pastorale in una parrocchia che conta 20 mila abitanti. Don Abramo ha inviato un diacono in suo sostegno. E’ motivo di orgoglio che un giovane sacerdote formato nella nostra Diocesi stia facendo un’esperienza missionaria di questa portata. Resta da compiere invece il tema della “missione” come luogo di testimonianza e annuncio della fede sul territorio. Una testimonianza a cui siamo chiamati tutti, dal vescovo, ai sacerdoti a tutti i battezzati. Papa Francesco dice che ci sono tanti cristiani, e che molti di loro hanno una faccia da funerale. Siami cristiani, annunciamolo con gioia, è questo l’augurio e l’invito che formulo alla comunità dei teramani.