Condannato per aver sfigurato la sua ex, riceve lettere d'amore

TERAMO – E’ stato condannato a vent’anni in primo grado per aver sfigurato la sua ex, Lucia Annibali, con l’acido, ma in carcere a Teramo, a Castrogno, dov’è detenuto fin dall’applicazione della custodia cautelare, e dove è tornato dopo la sentenza, Luca Varani riceve lettere d’amore. Proprio come l’altro detenuto ‘eccellente’, Salvatore Parolisi. Come il caporalmaggiore condannato a 30 anni per l’omicidio di Melania Rea, anche l’avvocato 37enne di Pesaro, ritenuto il mandante dell’aggressione alla sua ex a opera di due sicari che l’hanno sfigurata a vita, riceve lettere d’amore, messaggi di complimenti e sostegno del tipo “Luca sei bello”, “Luca non sei solo”. Come riportato questa mattina dal quotidiano "il Centro", a inviarli sono ammiratrici che invece di rivolgere solidarietà alla vittima, che ha subito già 10 interventi chirurgici per ricostruire i lineamenti del volto, preferiscono schierarsi dalla parte dell’uomo che diceva di amarla e ha deturpato il suo volto per sempre. L’obiettivo dei parenti è di avvicinarlo il più possibile a Pesaro, ma è ancora fortissima l’eco del verdetto. «È detenuto, ma non in condizioni estreme – puntualizza il direttore del carcere, Stefano Liberatore -. Varani è ritenuto al momento un imputato, visto che è stato condannato in primo grado di giudizio, pertanto il percorso di trattamento nella struttura carceraria è quello riservato a una persona le cui responsabilità sono state valutate, che ha prospettive infelici, ma non ancora sancite da una condanna definitiva». Un’ammirazione, quella che emerge dalla corrispondenza, dai contorni incomprensibili. «Da un lato», spiega la psicoterapeuta Itala Calabrese, «vi è un ritorno a una maturità inferiore, quasi infantile, dall’altro avviene un processo di identificazione. Per cui da parte di queste donne è come se ci fosse un meccanismo che le conduce a collegarsi, attraverso questi messaggi, proprio al carnefice per controllare ciò di cui si ha paura. Sviluppano una dipendenza quasi genitoriale per controllare l’ira o la paura che subentra di fronte a fatti che emotivamente ricordano qualcosa dell’infanzia»