TERAMO – Gianluca Pomante, il leader dei Movimenti civici pretuziani e candidato sindaco di Finalmente Pomante che ha centrato il seggio in consiglio superando lo sbarramento del 3%, interviene nella discussione elettorale che precede il ballottaggio di domenica prossima e spiega i motivi del suo appoggio esterno alla candidata del centrosinistra, Manola Di Pasquale, dando un colpo di spugna alle polemiche di queste ultime ore, che sembrerebbero non aver risparmiato nemmeno la sua compagine elettorale. Ecco il testo integrale della sua lettera.
«Ho sempre visto la competizione come un’esperienza positiva. Perdere significa apprendere una lezione, per non ripetere in futuro gli stessi errori. Perdendo si migliora e si impara ad apprezzare pienamente la vittoria, perché si è consapevoli di quanta fatica e quante delusioni comporti raggiungerla.
La competizione politica mi ha entusiasmato fino a quando è stata contatto con la gente, confronto con gli altri candidati, progettazione di una città futura.
Mi entusiasma molto meno oggi.
Ora che il mio gruppo, non senza perplessità, si è espresso per l’appoggio a Manola Di Pasquale, viene lasciata a me la scelta definitiva di formulare e sottoscrivere quell’accordo.
Una scelta che sarà comunque criticata, che sarà comunque fonte di polemiche, che sarà comunque oggetto di quella flagellazione mediatica che solo chi ha bisogno di consigli anche per scegliere il colore dei calzini può riservare a chi, invece, decide e se ne assume la responsabilità.
Una scelta che permetterà, in caso di vittoria, di spingere la politica verso un vero rinnovamento, di vigilare dall’interno, di attuare il nostro programma per la città, ma che, in ogni caso, non sarà indolore e priva di conseguenze.
L’analisi politica impone di appoggiare Manola Di Pasquale perché diversamente, senza prendere decisioni, si consegnerebbe la vittoria a Maurizio Brucchi.
Al contrario di chi preferisce astenersi per non doversi assumere alcuna responsabilità (pur sapendo di aver ugualmente scelto), io rispetterò la volontà degli arancioni e di tutti quelli che ci hanno contattato per spingerci ad appoggiare Manola Di Pasquale.
Io scelgo, anche se questo scatenerà critiche e illazioni. Io scelgo perché tocca a me. Io scelgo perché gli ostacoli si affrontano. Io scelgo, perché è troppo comodo fare il leader solo quando conviene.
Io scelgo per dare una speranza a quelle persone che hanno creduto negli “arancioni”, nelle nostre idee, nei nostri sogni. So bene che questa decisione potrà decretare la mia fine politica, come il gladiatore scende nell’arena sapendo che anche una vittoria gli permetterà solo di scegliere come morire. Ma sottrarsi agli eventi sarebbe da codardi.
La domanda, invece, che da qualche giorno mi ronza nella testa, è un’altra: ne vale la pena?
Vale la pena continuare a lottare per una città che non ha voglia di cambiare?.
È opportuno continuare a battersi contro una società che vuole restare simile a sé stessa e non ha alcuna voglia di migliorarsi? Tre cittadini su quattro hanno preferito la “sicurezza” della vecchia politica a qualsiasi innovazione.
Oggi alcuni gridano all’incoerenza, alla svendita degli ideali, alla cessione dei voti in cambio delle poltrone, ma questi “alcuni”, il 25 maggio, dov’erano?.
Dov’erano quando Teramo, anziché cogliere l’opportunità di cambiare davvero, confermava le vecchie logiche?. Dov’erano quando le matite barravano simboli ormai obsoleti e carichi di compromessi?. Dov’erano quando alle ideologie di partito si contrapponevano gli ideali di compagini civiche che sognavano la democrazia partecipativa e s’illudevano di poter contare sulla forza dell’idee?
Il comportamento dei galoppini prezzolati che in queste ore cercano di denigrare chi, comunque, vorrebbe un cambiamento, anche se piccolo, anche se diverso, conferma l’atteggiamento vile e servile nei confronti di chi è duro con i deboli e misero con i forti. Di chi sfugge al confronto, di chi fornisce risposte evasive, di chi oppone il “muro di gomma” ad ogni pietra lanciata, che rimbalza soffocata a poca distanza.
Il teramano medio si comporta come i prigionieri del “Mito della Caverna” di Platone, che pur liberi, dopo una vita passata in catene senza poter vedere la realtà, ne hanno paura e preferiscono restar dentro la caverna anziché uscirne.
Dante descrisse gli ignavi, nel terzo canto dell’Inferno, come quelle persone che, durante la vita, non agirono mai, senza mai osare avere una idea propria, ma limitandosi ad adeguarsi sempre a quella del più forte.
Io scelgo, Voi fate un po’ come Vi pare».
Gianluca Pomante