TERAMO – Il coordinamento No Triv abruzzese chiede alla Regione di ricorrere alla Corte Costituzionale contro lo “Sblocca Italia”, il decreto attualmente alla Camera per la conversione in legge e che tra l’altro prevede anche il rilancio delle attività connesse agli idrocarburi. “Nel territorio abruzzese – scrive in una nota il coordinamento – oltre 4mila e 200 chilometri quadrati sono interessati da istanze di permessi di ricerca, quasi 36 da richieste di estrazione di idrocarburi; oltre mille da istanze di concessione di stoccaggio. In tutto si tratta di oltre 10mila 763 chilometri quadrati”. In realtà, spiega ancora la nota, “il conto potrebbe essere più salato visto che le compagnie che oggi detengono un titolo per la sola ricerca su terra ferma potrebbero richiedere la concessione del titolo unico previsto dallo ‘Sblocca Italia’. Il monito riguarda anche il mare Adriatico: “Sono in dirittura d’arrivo i procedimenti in corso per la coltivazione Ombrina Mare 2, Elsa 2 e Rospo Mare 2 – è l’attacco del coordinamento – senza contare le numerose altre istanze di ricerca pronte per esser trasformate in altrettanti permessi di estrazione. E poi c’è il Tap, il grande ‘tubo’ con annessa centrale di compressione gas a Sulmona”. L’ultimo allarme, lanciato pochi giorni fa dal Forum abruzzese dei Movimenti per l’Acqua, riguarda la domanda presentata lo scorso 31 luglio dalla società Enel Longanesi Developments al ministero dello Sviluppo Economico per ottenere un permesso di ricerca di idrocarburi in un tratto di mare tra Pescara e il Cerrano vasto quasi 74mila ettari, in pratica le stesse dimensioni di un parco nazionale come quello della Majella.
IL RICORSO – Il coordinamento No Triv chiede dunque alla Regione di fare ricorso alla Corte contro il decreto sulla base di tre presupposti, ad iniziare dall’illegittimità del titolo concessorio unico al posto di due distinti per i permessi di ricerca e concessione di coltivazione. “Il titolo unico – spiega il coordinamento – presuppone una dichiarazione di pubblica utilità che non c’è stata e non può esserci perché il giacimento avrebbe dovuto essere stato già scoperto, il che non è”. “Permesso e concessione – continuano gli ambientalisti – sono due istituti completamente separati, il permesso di ricerca si configura come un limite al godimento della proprietà, mentre la concessione è costitutiva di nuove capacità, poteri e diritti". Altro presupposto “l’estromissione degli enti locali dal procedimento amministrativo che porta al rilascio del ‘titolo concessorio unico”. Infine, il fatto che “l’intesa della Regione venga considerata dal decreto come un atto interno al procedimento stesso” Una “follia in tempi di federalismo” secondo il coordinamento: “l’intesa della Regione invece è un atto politico e non amministrativo per cui l’Ente ha diritto di partecipare alle decisioni assunte in sede statale e, in caso di mancato accordo con lo Stato, potrebbe portare all’attenzione della stessa Corte il problema, provocando un conflitto di attribuzione”.