L’AQUILA – «La condotta degli imputati ha influenzato le decisioni di quanti dovevano scegliere se rimanere in casa o uscire dopo le scosse di terremoto». Ecco perché va confermata in Appello la condanna in primo grado a sei anni per omicidio colposo e lesioni colpose dei sette imputati nel processo alla Commissione Grandi Rischi sul sisma dell’Aquila, il 6 aprile del 2009, in cui sono morte 309 persone e per il quale, a cinque anni e mezzo dalla scossa delle 3.32, ancora oggi il cuore della città è ancora ‘zona rossa’. La richiesta del Procuratore Generale della Corte d’Appello dell’Aquila, Romolo Como, arriva al termine delle oltre due ore di requisitoria nella prima udienza del processo di secondo grado. Como ha chiesto al collegio giudicante la non applicazione di pene accessorie e la cancellazione di quella sull’interdizione dai pubblici uffici inflitta dal tribunale. Questo processo, nonostante "tentativi ancora in atto" di fare "disinformazione", dice Como in più passaggi, "non è un processo alla scienza". E in tal senso, cita in particolare due fatti: un’intervista dell’attuale capo della Protezione Civile, Franco Gabrielli ("È devastante dire che è una sentenza che crea problemi", attacca Como) e la presa di posizione dell’allora ministro dell’Ambiente Corrado Clini, d’accordo con una lettera firmata da 4mila persone con la quale si denunciava il processo alla scienza. "La colpa – afferma il Pg – non attiene alla mancata previsione dei terremoti, che non si possono prevedere, e al mancato allarme ma alla errata, inidonea, superficiale analisi del rischio e di una carente e forviante informazione che ha fatto mutare i comportamenti degli aquilani di attuare le tradizionali misure dopo scosse forti come ad esempio uscire di casa. La colpa generica è la negligenza e l’imprudenza nel fare quella valutazione e nel dare false rassicurazioni". In primo grado, il 22 ottobre del 2012, il giudice Marco Billi condannò Franco Barberi, all’epoca presidente vicario della Grandi Rischi, Bernardo De Bernardinis, già vice capo del settore tecnico del dipartimento di Protezione civile, Enzo Boschi, all’epoca presidente dell’Ingv, Giulio Selvaggi, direttore del Centro nazionale terremoti, Gian Michele Calvi, direttore di Eucentre e responsabile del progetto Case, Claudio Eva, ordinario di fisica all’Università di Genova e Mauro Dolce, direttore dell’ufficio rischio sismico di Protezione civile. "Confido nell’aiuto di Dio. Voglio essere assolto perché non ho fatto niente", spiega Boschi al termine dell’udienza. Nella requisitoria entra anche l’intercettazione in cui si chiede di "mettere a tacere gli imbecilli", in riferimento alla telefonata tra l’allora assessore regionale alla Protezione civile Daniela Stati e l’allora capo della protezione civile, Guido Bertolaso, che dava dell’ "imbecille" al tecnico Giampaolo Giuliani, le cui previsioni sulle scosse, legate al livello del radon, stavano creando panico nella popolazione. Nel filone parallelo, la cosiddetta Grandi Rischi 2, la posizione della Stati è stata archiviata, mentre Bertolaso è sotto indagine proprio da parte della Corte d’Appello dopo due richieste di archiviazione della procura della Repubblica respinte dal Gip. E l’indagine è gestita proprio da Como. Centrale nella costruzione del castello accusatorio la riunione del 31 marzo 2009, a cinque giorni dal sisma. Ne parla il presidente del collegio giudicante, Fabrizia Ida Francabandera, in più passaggi della relazione sulle motivazioni della sentenza di primo grado: "La riunione è stata una operazione mediatica per tranquillizzare la popolazione con carattere scenografico e mistificatore". Acquisita anche come prova l’intervista di ‘Presa diretta’ dell’allora vice capo della protezione civile, Bernardo De Bernardinis in cui dice: "Non ci si aspetta una crescita della magnitudo rispetto agli eventi". Le prossime due udienze sono state fissate per venerdì 17 e sabato 18 ottobre. Nell’intenzione dei giudici quella di andare a sentenza entro il 31 ottobre.
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