«La madre del piccolo Jason vittima del marito e incapace di difendere il bimbo»

TERAMO – Katia Reginella è una donna "affetta da ritardo mentale congenito, vittima di gravi violenze subite già dall’infanzia e in seguito da parte del marito Denny Pruscino", e avrebbe dovuto essere riconosciuta non imputabile per la morte del figlio, il piccolo Jason, ucciso insieme a Pruscino nel luglio 2011. Lo afferma il difensore della Reginella, condannata il 18 giugno scorso a 25 anni di reclusione dalla Corte d’Assise di Macerata, che al marito ha inflitto l’ergastolo. L’avvocato Vincenzo Di Nanna, legale di Katia, ha fatto appello contro la sentenza: un ricorso di 62 pagine in cui si sollevano numerosi interrogativi sulla presunta "rimozione" da parte dei giudici del contesto di violenze e soprusi in cui la Reginella ha dovuto vivere, e si avanzano censure nei confronti della procura di Ascoli Piceno (la coppia abitava a Folignano) per non aver riunito in un unico procedimento le indagini sui maltrattamenti subiti dai due figli avuti dai Pruscino prima di Jason. Un bambino e una bambina vittime di strani ‘incidenti domestici’ che ne hanno minato lo sviluppo psicofisico, e indussero il Tribunale dei minori a darli in affido ad altre famiglie. "Le pur gravi ed evidenti condizioni di infermità mentale dell’imputata, riconosciute da tre diversi periti d’ufficio – scrive Di Nanna – hanno trasformato il giudizio in un orribile e grottesco esperimento su una povera cavia umana". Lo dimostrerebbe, fra l’altro, un "interrogatorio-tortura", così lo definisce il legale, al quale Katia venne sottoposta il 21 novembre 2011 nel carcere di Teramo: la donna raccontò di essere tornata il giorno dopo la morte di Jason nei luoghi in cui i resti del bimbo erano stati gettati via, con l’intento di "soccorrerlo".