TERAMO – La prima sentenza di un giudice civile potrebbe tracciare la strada giuridica nella vicenda delle azioni Tercas vendute come ‘pronti contro termine’ a un discreto numero di clienti, ai quali la sospensione del titolo decisa dal commissario Sora ha impedito il recupero delle somme investite. E’ quella emessa in questi giorni dal giudice di Teramo, Mauro Pacifico, chiamato a dirimere la richiesta di condanna di un dipendente dell’istituto di credito di corso San Giorgio avanzata da un cliente che aveva acquistato circa 225mila euro in azioni Tercas e alla scadenza di un anno non aveva avuto indietro il capitale versato e, secondo gli accordi verbali presi in banca, anche gli interessi del 3 per cento. Il giudice ha scagionato il dipendente, ritenendo che la vendita di azioni proprie della banca come pronti contro termine, avviate nel 2010 da una disposizione dell’allora direttore generale Di Matteo e qualificata come ‘ingegneria bancaria’, era diventata routine imposta dai vertici e che aveva remunerato già molti clienti, che dunque sapevano di cosa stessero acquistando.
Dipendenti dunque esclusi da responsabilità o dolo, ma le giuste rivendicazioni di chi aveva investito e visto poi sfumato il recupero del denaro impegnato? Su questo la sentenza farà giurisprudenza. Il giudice civile ha infatti rilevato la sua incompetenza a decidere ‘oltre’ la richiesta fatta dal cliente, che chiedeva di legare alla colpa del dipendente la risoluzione del contratto e la restituzione di quanto pattuito con esso: avrebbe cioè dovuto rivolgersi alla banca e non contro il dipendente, mero esecutore di attività decise dall’alto. A impedire infatti la restituzione del capitale oltre gli interessi del 3% fu proprio la decisione del commissario Riccardo Sora di sospendere, nel maggio 2012, la negoziazione dei titoli Tercas, che il cliente avrebbe dovuto ‘rivendere’ alla banca ai primi di luglio. E che la banca Tercas si aspettasse le richieste di recupero delle somme lo testimonia l’accantonamento in bilancio, da parte dello stesso Sora, di qualcosa come 17 milioni di euro proprio per questo genere di contenziosi: l’equivalente del denaro andato in fumo di circa un centinaio di piccoli clienti.