FARINDOLA – Quel che tutti temevano è diventato realtà: l’hotel Rigopiano è ormai soltanto una tomba. In quel groviglio di neve, tronchi d’albero e cemento sbriciolato che era il resort a quattro stelle, ci sono soltanto morti. Certo, nessuno dice ufficialmente che non c’è più alcuna possibilità di trovare vivo chi ancora manca all’appello; ma gli sguardi e le parole a mezza bocca di tutti coloro che scendono dalla montagna valgono molto di più: "E’ follia solo pensarlo, che qualcuno possa essersi salvato". Che il vento fosse purtroppo girato definitivamente al peggio, lo si è compreso già nella tarda serata di lunedì, quando i vigili del fuoco sono riusciti finalmente a bucare il muro che separava la parte già controllata dell’hotel dalle cucine e dalla zona bar. Speravano che dietro a quel muro di cemento armato spesso 80 cm la furia della valanga avesse risparmiato almeno qualcosa. Una stanza, un angolo dove le persone rimaste intrappolate avessero potuto trovare riparo. In fondo è quel che è successo per i bimbi nella sala biliardo e per i sopravvissuti nella hall, vicino al camino. Ma non è andata così: "Dietro quel muro – spiegano – c’è un ammasso di neve ghiacciata e compatta, tronchi d’albero, fango, detriti della frana e pezzi di cemento. Tutto frullato insieme. Mai vista una cosa simile. L’unica cosa che ci possiamo augurare, a questo punto, è che siano tutti lì e che li troviamo prima possibile".
Da là dentro, hanno estratto altri sei corpi. Il che significa che dei 40 presenti mercoledì scorso al Rigopiano, quando la valanga si è abbattuta sull’hotel, 24 sono morti. Tolti gli undici sopravvissuti, restano ancora 5 dispersi. Cinque sono i corpi che sono stati identificati oggi: sono quelli di Paola Tomassini, Marco Vanarielli, Pietro Di
Pietro, Stefano Feniello e dell’amministratore dell’ albergo, Roberto Del Rosso.
"Si va avanti, dobbiamo terminare il lavoro – dice il capo della Protezione Civile, Fabrizio Curcio -. E’ un lavoro
complicato e lo sapevamo fin dall’inizio, ma andiamo avanti". Parole ribadite da Luigi D’Angelo, il funzionario del Dipartimento della Protezione Civile al centro di coordinamento dei soccorsi a Penne. "Non ci fermeremo fino a quando non avremo la certezza che non ci sia più nessuno" sotto le macerie o sotto la neve. "Stiamo scavando nel cuore della struttura e dobbiamo continuare a cercare fino alla fine". Sia Curcio sia D’Angelo sorvolano sul fatto che le ricerche, ormai, sono concentrare sui morti, anziché sui vivi. Ma anche in questo caso le parole servono a poco davanti alle immagini che i soccorritori continuano a girare dove una volta c’era l’hotel. L’unica possibilità che qualcuno sia potuto sopravvivere, infatti, era riposta nell’integrità dei locali al piano terra: dei tre piani che formavano il corpo principale dell’hotel, quello dove c’erano le camere degli ospiti, non è rimasto più nulla. Il tetto spiovente, crollato dopo esser stato travolto dalla valanga, ha schiacciato completamente tutti e tre i piani. I soccorritori non ci sono neanche andati, a cercare lì dentro. Perché, se qualcuno era in camera, è morto nell’istante in cui la massa di neve ha colpito l’albergo. "Di valanghe, anche distruttive, ne ho viste – dice Adriano Favre, direttore del Soccorso Alpino della Valle d’Aosta e tra i massimi esperti di valanghe – Mi ricordo quella di Morgeaux, sono bastati 20 centimetri di neve per piegare i tetti delle case e ‘sparare’ le carriole dentro i muri, trasformandole in quadri. Ma una violenza così non l’ho mai vista".
La sensazione di tutti, dunque, è che si stia davvero arrivando alla parola fine. Diversi volontari del soccorso
alpino e della Guardia di Finanza hanno già iniziato a smobilitare e lassù sulla montagna si procede alla rimozione delle macerie e della neve con le ruspe. Ma fin quando l’ultimo corpo non sarà restituito ai familiari, nessuno abbandonerà mai quell’albergo maledetto.