TERAMO – (benedettavicentini) E’ scaramantico, Angelo Sperandio, l’ultimo sindaco di Teramo del centrosinistra fino all’avvento dell’era Chiodi-Brucchi, 14 anni fa e non gli piace scherzare su certe cose. Non ha gradito per niente la battuta sulle “reliquie dell’amministrazione Sperandio”. E’ orgoglioso, e non accetta l’idea che un sindaco possa “essere mandato a casa” ed ha una memoria da elefante, e non perdona a Di Dalmazio quel famoso salto di sponda politica che di fatto consegnò Teramo al centrodestra.
Se fosse nei panni di Morra o D’Alberto quale sarebbe la prima cosa da fare appena divenuto sindaco? «Recuperare la stima e soprattutto la fiducia dei cittadini, ormai sempre più distanti dalla politica. In questo il ruolo del primo cittadino non è molto diverso da quello di un professore con i suoi studenti: prima di pensare ai programmi, al bilancio e alle opere da completare il sindaco dovrebbe presentarsi alla gente, fermarsi a parlare con le persone per strada. Solo confrontandosi con i cittadini, ascoltando le loro necessità e conoscendo le loro aspettative il sindaco può instaurare un rapporto di fiducia con la città».
C’è qualcosa che si rimprovera di non aver fatto, che non hanno fatto i suoi successori e che potrebbe fare invece Gianguido D’Alberto, che lei sostiene?
«Avevamo molte idee in cantiere che poi sono finite nel dimenticatoio, un po’ per le lentezze amministrative e un po’ perché nell’ultimo periodo del mio governo non c’era più accordo all’interno del Consiglio comunale. Gianguido è un uomo sveglio, capace, uno che nella vita ha studiato molto e che ha tutte le caratteristiche per amministrare bene questa città. Dovrebbe riprendere il discorso della valorizzazione della realtà culturale cittadina che è l’anima di Teramo, provvedere a reperire finanziamenti, risanare il bilancio comunale che negli ultimi 15 anni è sprofondato in un baratro sempre più profondo e magari dotarsi di un progetto scritto per avere finalmente una visione chiara sulle cose da fare. Solo lui in questo momento può garantire discontinuità con il passato».
Cosa c’era di buono nella sua amministrazione e cosa c’era di sbagliato che i suoi avversari ancora le rimproverano?
«Io non facevo nulla di particolare, stavo in mezzo alla gente, può sembrare una banalità ma è molto importante per capire quali sono i problemi dei cittadini e quindi della città e per valutare come intervenire per non deludere le aspettative dei teramani».
La infastidisce l’accusa rivolta a D’Alberto di trascinarsi dietro “le reliquie dell’amministrazione Sperandio”?
«Io non sono ancora morto, quindi chi parla delle mie reliquie non solo usa termini impropri ma è anche di cattivo gusto. La verità è che il Comune dovrebbe essere la casa di tutti ma con i miei successori non è stato così, si sono arroccati nel Municipio e hanno dimenticato il bene della città».
Il rapporto tra città e Ateneo è stato uno dei temi caldi della campagna elettorale. Ai suoi tempi come andavano le cose?
«Ho lavorato molto al fianco dell’Università perchè sentivo che era una ricchezza per Teramo. Sono stato io ad individuare l’area di Piano d’Accio che oggi ospita le facoltà di bioscienze e di veterinaria che poi il Comune ha acquistato. Ho chiuso la scuola media Molinari per lasciarla in comodato d’uso all’Università che aveva bisogno di spazio per le attività didattiche, c’è voluto molto coraggio. Nonostante fossimo persone molto diverse io e l’allora rettore Russi, abbiamo lavorato molto insieme: lui ha messo l’Università al centro e io da sindaco l’ho supportato come ho potuto».
Cosa bisognerebbe fare con il lungofiume? E con gli spazi dell’ex manicomio?
«Il parco fluviale ha una storia lunga e complessa, lo abbiamo realizzato con fondi europei che allora riuscivamo ad intercettare grazie al Patto di stabilità sul bilancio. E’ un gioiello che va pulito e rimesso a posto affinché torni ad avere l’immagine che ha sempre avuto. Lo stesso discorso vale per l’ex manicomio. Il progetto definitivo è stato approvato in Consiglio comunale nel 2003 e avrebbe dovuto riqualificare tutta la zona di Sant’Antonio. All’interno della struttura doveva sorgere una galleria con negozi, una biblioteca, un museo delle arti, un hotel di prima categoria e gli uffici comunali. Poi il rettore D’Amico ha rimesso mano al progetto e ha deciso di creare la “Cittadella della cultura” e si sta procedendo con la gara per la progettazine: ben venga, purchè se ne faccia qualcosa adesso o mai più».
Cosa pensa di ciò che è accaduto al precedente sindaco, Brucchi, caduto sotto i colpi della sua stessa maggioranza? Qualcosa di simile accadde anche a lei…
«Un sindaco capisce che quando non ha più il consenso per governare deve farsi da parte. Un sindaco non viene mandato a casa, ci va da solo. Il centrontrodestra non può essere un’alternativa e lo dimostra il fatto che a pochi mesi dalla caduta della giunta Brucchi si ripresenta con gli stessi volti e le stesse dinamiche che hanno logorato la precedente amministrazione. Lo stesso Di Dalmazio che ha abbandonato il centrodestra per formare una propria lista civica è storia che si ripete. Mauro nel 2004, ultimo anno della mia consiliatura, lasciò la maggioranza per passare al Centrodestra che allora era all’opposizione. Una scelta che di fatto causò la fine prematura della consiliatura e che comunque ha spalancò le porte della città a decenni di guida di centrodestra».