TERAMO – Se quei primi giorni di maggio furono catastrofici per Teramo e tutta la provincia, perchè gettarono nel panico decine di migliaia di persone quando fu vietato l’uso dell’acqua del Ruzzo, quella di oggi può esser considerata altrettanto clamorosa: la procura di Teramo ha chiuso l’inchiesta sul pericolo di inquinamento dell’acqua del Gran Sasso, notificando 10 avvisi di garanzia ai vertici di Laboratorio, Strada dei Parchi e Ruzzo, ma soprattutto sequestrando le opere di captazione delle acque destinate all’acquedotto in corrispondenza dei Laboratori dell’Infn.
I magistrati del pool (Stefano Giovagnoni, Greta Aloisi e Davide Rosati) coordinati dal procuratore Antonio Guerriero, hanno firmato l’avviso di conclusione delle indagini e iscritto nel registro degli indagati per inquinamento ambientale: il presidente dell’Istituto nazionale di Fisica nucleare, Fernando Ferroni, il direttore dei Laboratori Stefano Ragazzi, il responsabile del servizio ambiente dei Laboratori Raffaele Adinolfi Falcone, il responsabile della divisione tecnica dei Laboratori Dino Franciotti, il presidente di Strada dei Parchi Lelio Scopa, l’amministratore delegato di Strada dei Parchi Cesare Ramadori, il direttore generale di Strada dei Parchi Igino Lai, il presidente della Ruzzo Reti Antonio Forlini, il responsabile dell’Unità operativa di esercizio della Ruzzo reti Ezio Napolitani e il responsabile del servizio acquedotto della Ruzzo Reti Maurizio Faragalli.
L’INCHIESTA. L’inchiesta, come scrivono i magistrati nel capo di imputazione, avrebbe fatto emergere un "permanente pericolo di inquinamento ambientale e, segnatamente, il pericolo di compromissione o deterioramento significativo e misurabile delle acque sotterranee del massiccio del Gran Sasso". I magistrati avevano riunito due differenti fascicoli, con gli accertamenti affidati agli uomini del Noe, coordinati dal maggiore Antonio Spoletini, aperti entrambi dopo alcuni episodi di presunto inquinamento dell’acqua rilevati tra il 2016 e il 2017. L’ultimo a maggio dello scorso anno, quando fu dichiarata la non potabilità, per 32 comuni del Teramano, dell’acqua proveniente dall’invaso del Gran Sasso. Una non potabilità durata appena 12 ore ma che gettò nel panico i cittadini. Da qui la decisione di riunire le indagini un’unica inchiesta, che ben presto si era concentrata sull’intero sistema Gran Sasso e su eventuali interferenze con i laboratori e le gallerie autostradali. Nel corso di questi mesi la Procura ha provveduto a numerose acquisizioni di atti, ad ascoltare diverse persone a partire dal presidente della Ruzzo Reti e i rappresentanti di Asl e Arta, che avevano effettuato le analisi in occasione dei presunti episodi di sversamento e all’affidamento di una perizia a tre consulenti. Perizia dalla quale sarebbero emerso numerose criticità.
LE CONTESTAZIONI. I rappresentanti di Strada dei Parchi, secondo l’accusa, avrebbero mantenuto in esercizio le gallerie autostradali, come si legge ancora nel capo di imputazione, "senza verificare l’esistenza di un adeguato isolamento delle superfici dei tunnel autostradali e delle condutture di scarico a servizio delle gallerie rispetto alla circostante falda acquifera". Di conseguenza, sempre secondo la Procura, la società avrebbe
omesso di attuare le misure, quali il completamento delle opere di impermeabilizzazione delle platee autostradali, necessarie a scongiurare il rischio di contaminazione della falda acquifera e quindi delle acque sotterranee. Ai vertici dell’Infn la Procura contesta di aver mantenuto in esercizio i Laboratori senza aver verificato se vi fosse "un adeguato isolamento idraulico delle opere di captazione e convogliamento delle acque destinate ad uso idropotabile ricadenti nella struttura rispetto alle limitrofe potenziali fonti di contaminazione" e quindi senza attuare le misure "atte a scongiurare il rischio di contaminazione delle acque sotterranee", così come di aver omesso di adottare "le misure necessarie per l’allontanamento della zona di rispetto delle sostanze pericolose detenute ed utilizzate nelle attività dei laboratori". Ai vertici del Ruzzo, infine, viene contestato di non aver verificato se "vi fosse un adeguato isolamento delle opere di captazione e convogliamento delle acque sotterranee destinate ad uso idropotabile" ricadenti nelle strutture dei Laboratori e nei tunnel autostradali, "rispetto alle potenziali fonti di contaminazione" e di conseguenza di non aver attuato le relative misure atte a scongiurare il rischio di immissione in rete di acque contaminate. Al Ruzzo viene anche contestato di non aver assicurato "il mantenimento di adeguate condizioni igieniche e di efficienza delle strutture acquedottistiche", di non aver vigilato "sulla funzionalità dei sistemi di rilevazione precoce di eventuali contaminazioni". A Ragazzi e Adinolfi Falcone viene contestato anche il reato di getto di cose pericolose per alcuni sversamenti di cloroformio, così come confermato dalle analisi dell’Arta su alcuni campioni di acqua prelevati tra il 2016 e il 2017. Reato contestato anche a Scopa, Ramadori e Lai per lo sversamento di Toluene, così come confermato sempre dagli accertamenti dell’Arta eseguiti su alcuni campioni prelevati il 4 e il 5 maggio del 2017. "Contaminazione derivante – si legge nel capo di imputazione – dall’utilizzo di vernici nei lavori di rifacimento della segnaletica autostradale".
IL SEQUESTRO NEI LABORATORI. E’ stato disposto anche il sequestro delle opere di captazione delle acque destinate all’immissione in acquedotto situate in corrispondenza dei Laboratori. A firmare il provvedimento, chiesto dalla Procura di Teramo, il gip Roberto Veneziano, con il sequestro operato nel primo pomeriggio dal Noe. Per il gip infatti, come si legge nel provvedimento, "l’inibizione d’uso delle captazioni idropotabili interne ai laboratori comporterebbe una notevole riduzione del rischio di contaminazione diretta delle acque destinate al consumo umano ad opera delle sostanze inquinanti utilizzate" nei laboratori stessi. Nello stesso provvedimento il gip sottolinea come residuerebbe, "in assenza di una completa impermeabilizzazione delle superfici dei laboratori e di un adeguato isolamento delle relative condutture di scarico, il rischio di contaminazione sempre ad opera delle sostanze inquinanti impiegate nelle attività" dei laboratori della falda acquifera "che alimenta il sistema acquedottistico attraverso le captazioni poste al di sotto della pavimentazione autostradale". Di conseguenza, proprio per limitare qualsiasi rischio, per il gip "appare necessario – fintantoché non sarà completata l’impermeabilizzazione delle superfici dei laboratori e messe in sicurezza le relative condutture di scarico – limitare quanto più possibile l’utilizzo, e comunque la detenzione nei locali sotterranei dei Laboratori di sostanze contaminanti nonché garantire un monitoraggio continuo delle acque a scarico".