TERAMO – Altro che semplici osservazioni, come se fossero pareri per migliorarlo. La Soprintendenza lo ha quasi demolito il progetto preliminare per il recupero funzionale del Teatro romano. A voler essere ottimisti, l’unica veduta comune che si può leggere nelle 5 pagine di risposta alla verifica tecnica preliminare, è l’abbattimento dei Palazzi Adamoli e Salvoni. Per il resto le 10 osservazioni/prescrizioni segnalate dagli esperti archeologici ministeriali, anche se espresse «in fase preliminare e nello spirito di proficua collaborazione», pesano come un macigno sull’ipotesi progettuale elaborata dallo studio Bellomo. Al punto tale che al termine dell’incontro, in audioconferenza da Palermo, i tecnici incaricati dal Comune hanno espresso la propria contrarietà a un siffatto quadro di modifiche, tali e profonde, da mettere l’amministrazione con le spalle al muto: della serie, questo è il nostro preliminare, questo è il costo, la partita si chiude qui. Preoccupazione sullo stato delle cose non le nasconde l’assessore alla pianificazione territoriale Stefania Di Padova, che assieme al collega alla cultura Gigi Ponziani, era all’incontro tra tecnici proprio per la valutazione di questo ‘plico’ della Soprintendenza, alla quale si è affacciato anche il sindaco Gianguido D’Alberto: «La situazione è delicata – ha detto l’assessore Di Padova -, la Soprintendenza fa rilievi anche condivisibili, ma è anche vero che in un progetto di questo tipo c’è bisogno di far incontrare le interpretazioni tecniche e dunque sta a noi dell’amministrazione mediare e trovare un punto di incontro. Certo, la rivisitazione del progetto in questi termini, secondo le osservazioni prodotte, comporta anche un costo maggiore»
Non c’è soltanto la ‘raccomandazione’ all’utilizzo di ‘ombrelli protettivi’ sui blocchi di gesso-areniti delle strutture portanti della ‘summa cavea’, soggette a degrado, nei rilievi della Soprintendenza archeologica. Non piace nè il calcolo delle quote e i piani di calpestio nè le due passerelle di attraversamento sulle strutture e sugli ambienti del teatro antico; vengono giudicati "inammissibili" tutti i nuovi ambienti pensati al di sotto della cavea più bassa, cioè quelli riservati ai gabinetti pubblici, agli ascensori, alle sale prova, al locale impianti termici, il coffeè shop, il bookshop o la biglietteria. Bocciato anche lo specchio d’acqua, perché "stravolge e confonde tipologie, funzioni e ragion d’essere del teatro così come si suggerisce l’idea di ripristinare il palcoscenico di legno com’era in origine. E’ sull’ima cavea, la gradinata inferiore, che si concentra la possibilità di recupero funzionale dell’edificio antico per gli spettacoli, secondo la Soprintendenza: "solo prevedendo la ricostruzione della gradinata in appoggio alla sostruzione (che in archeologia è l’insieme degli elementi su cui poggia una struttura, ndr) originaria", che deve essere realizzata dopo la demolizione controllata dei palazzi Adamoli e Salvoni e lo scavo archeologico sottostante.
Quanto ai piani di accesso al teatro nwl suo recupero funzionale, poi, la Soprintendenza ritiene "auspicabile" valutare la possibilità di una rampa di raccordo con la città sul lato ovest, ovvero quello verso Chiasso dell’Anfiteatro e l’angolo di via Teatro antico (come doveva essere originariamente) per il flusso e deflusso degli spettatori. Soltanto in via alternativa "e se necessario e indispensabile", può esserci una deroga al vincolo, costruire una scalinata dei ‘vomitoria’ (le uscite su via Paris) per "ridurre i tempi di percorrenza e di evacuazione in caso di necessità o di rischio".
C’è qualcosa di importante che rischia di essere insuperabile in questo contesto nella contrapposizione tecnica e architettonica del recupero: sintonizzare tutti sul concetto di recupero funzionale, come scritto dal responsabile per territorio della Soprintendenza, il funzionario archeologo Vincenzo Torrieri, "sulla natura e filosofia dell’intervento come presupposto dell’azione di tutela e valorizzazione". Cioè limiti ferrei a qualsiasi interpretazione ‘free’, dove recupero funzionale significa soltanto e unicamente il ripristino, per quanto possibile, di una funzione propria, "nel rispetto fisico dei resti da tutelare, senza pregiudicarne tipologia e carattere, senza contraddire la natura stessa del bene a noi pervenuto". Ovvio che in questi casi c’è poco da fare e l’assunto mal si sposa con un ‘aggiornamento’ temporale e inserimento nel contesto fisico di un manufatto dell’età imperiale romana, prezioso come tutti i resti del 4° o 10° secolo dopo Cristo. Ad esempio, e non esaustivo da solo, gli ambienti previsti al di sotto e dietro della gradinata inferiore, che ospiterebbero tutti i servizi previsti e ‘normali’ in molte antichità recuperate e restaurate come i bookshop e le toilette, per la Soprintendenza andrebbero previsti fuori del contesto, nei fondaci dei palazzi circostanti, da espropriare ai fini pubblici.
Dopo le difficoltà per mettere insieme i 4 milioni di euro racimolati, la modifica sostanziale a un progetto che non era piaciuto a nessuno con la inguardabile copertura e finalmente la condivisione di una larghissima parte della comunità alla nuova idea, ecco il blocco della Soprintendenza. Che adesso afferma di essere di fronte a una progettazione preliminare in cui "non si ravvisano gli elementi contenutistici e formali emersi nei tavoli tecnici tenutisi a Teramo e a Chieti, con i progettisti, funzionari del Comune e quelli territorialmente competenti di questa Soprintendenza". Come a dire: non avete recepito, o avete sottovalutato. le indicazioni esposte quando ci siamo seduti insieme al tavolo tecnico. Ecco perchè è forte il timore che l’opera vedrà la luce in un tempo sempre più lontano.