L'archistar Desideri e l'ex manicomio: «Unicum italiano. Decisivo un museo sulla psichiatria»

TERAMO – Ha firmato la stazione Tiburtina e il Palazzo delle esposizioni di via Nazionale a Roma, il Museo dei Bronzi di Riace di Reggio Calabria e il Teatro Lirico di Firenze, tra gli altri. Adesso l’archistar Paolo Desideri, fondatore dello studio romano Abdr, si appresta ad usare la sua creatività per mediare le richieste che verranno dalla comunità, “perchè – dice – non c’è creatività senza domanda, senza problema da risolvere”. Con lo studio Promedia di Raffaele Di Gialluca, Desideri ha messo insieme uno team progettuale che può contare su professionalità di Marco D’Annuntiis dello studio Mda di Corropoli, i consulenti Luigi Coccia e Iolanda Piersante, ma soprattutto il docente di strutture dell’Università La Sapienza di Roma, Franco Braga. Perché sarà particolare questo progetto? «Tra. Le ipotesi ce n’è una forte, che dà molto senso all’idea – spiega Desideri -: è quella del costruire un percorso di musealizzazione della psichiatria, di una cosa così importante, fatta anche di una storia di dolore, di una storia controversa, attinente al manicomio». Per l’archistar è «di particolare interesse e potenzialità, a partire dal fatto che musei legati alla cura dei malati mentali non ce ne sono in Italia». Talmente caratterizzante e unicum italiano, che da poter essere paragonato all’importanza «della memoria negli eventi tragici come la Shoah. E’ importante coltivare la memoria attraverso la musealizzazione – dice Desideri -, c’è stato un tentativo poi abortito a Santa Maria della Pietà a Roma, qui a Teramo c’è tra l’altro una quantità documentale straordinaria, come le cartelle cliniche e molti degli apparecchi utilizzati allora tuttora conservati».  Senza dimenticare altri luoghi di questo spazio immenso, come «la proposta di poter realizzare un piccolo teatro con una sua torre scenica per piccoli spettacoli operistici», ma Desideri tiene a precisare che tutto ciò sarà frutto «di decisioni che prenderemo con l’amministrazione».
L’ex manicomio può essere paragonabile alle sue precedenti opere?
«Dal punto di vista dimensionale certamente sì. Qui c’è un livello di complessità, se possibile dire, ancora maggiore, legato al fatto che c’è un rapporto con un contesto esistente molto condizionante, perché non c’è una ‘tabula rasa’ nella quale poter liberamente, che poi non è mai liberamente, disegnare ex novo qualcosa. Qui abbiamo un testo già scritto con il quale noi ci dobbiamo confrontare, se mi passate la metafora, un pò come in un esercizio enigmistico, un quadro in cui hai a disposizione tre o quattro lettere da mettere, che però sono quelle che devono dare senso a tutta la tavola».
Si tratta di un lavoro più condizionato dalla storicità del luogo o dal contesto urbano: «Entrambi sono importanti e decisivi, credo al 50 e 50».