TERAMO – Non vogliono fare la fine dei colleghi di corso San Giorgio e sono disposti a tutto, anche a chiudere, e in alcuni casi, a trasferire l’attività altrove. I commercianti di corso de’ Michetti sono già sul piede di guerra perché quel giorno, tanto annunciato da mesi, sta adesso per arrivare: i lavori di rifacimento della pavimentazione e dei sottoservizi toccherà anche a loro, ma gli oltre 1.200 giorni di cantiere aperto della strada principale che hanno dilaniato la città e una intera categoria, sono una ferita sempre aperta e loro non vogliono farsi male. Ma non sono contro a priori: anzi, suggeriscono interventi riqualificanti come sui punti luce e i marciapiedi, ma difendono a spada tratta quello che ritengono un valore storico della loro zona: la pavimentazione in porfido. I sanpietrini non si toccano, dicono: sistemateli, non sostituiteli.
Qui ricordano ancora i tempi in cui fu effettuato lo scavo per posizionare nuovi sottoservizi: «C’è un massetto in cemento armato con tanto di rete metallica di 50 centimetri e sotto c’è una camera dove è possibile camminarci in piedi; sotto passa una fognatura a mattoni efficientissima che non ha bisogno di essere toccata – dice Sandro Standoli -. Sono altri gli interventi da fare qui, meno invasivi, a cominciare dai marciapiedi e da una fresatura del porticato antico».
Il rischio è scoprire il vasto tesoro archeologico della Teramo romana, con l’azione di tutela che giustamente la sovrintendenza potrebbe operare: «Tutti i reperti trovati sono stati catalogati e forniti di pozzetti di ispezione e segnalati con delimitatori simili ai sanpietrini ma di colore bianco, facilmente accessibili attraverso i pozzetti».
Il primo risposta di chi vive da sempre la realtà di corso de’ Michetti, alla domanda di cosa pensano dei lavori imminenti, è «speriamo che non comincino mai». Perché la paura di affrontare una crisi più nera di quelle che vivono normalmente, è tanta: «Noi non siamo come i commercianti di corso San Giorgio che hanno resistito tra mille difficoltà – dice Renata Salichovas di Real Bike -. Qui nella stessa situazione noi chiuderemmo tutti. Già c’è la forte crisi e siamo ridotti ai minimi termini, se dovessero chiudere per dei lavori protrattisi come quelli, noi non avremmo via d’uscita». C’è perfino chi è disposto a trasferirsi, quale gesto estremo, sapendo di non poter tenere aperta un’attività che mal si concilia con la presenza di un cantiere: «Abbiamo visto la drammatica esperienza vissuta con corso San Giorgio e noi, io, non sono disposta a fare la stessa fine – dice Annalisa Casimirri della Pasticceria San Marco -. Lo dico subito, se avranno intenzione di aprire un cantiere invasivo come quello già visto, qui non ci sono le condizioni per salvarci, in una zona dove già si vede poca gente se non al sabato, per noi sarebbe la fine. Io chiuso e mi sposto da qualche altra parte, qui non resto sicuramente». Anche Felice Quaresimale è dello stesso parere: «Io ho già avvertito i miei fornitori, loro lo sanno, acquisto poca merce perché appena saprò con certezza che i lavori partono valuterò se restare aperto o chiudere». Il suo parere è lo stesso: «E’ un corso vecchio? Perché lo devono toccare? A noi interessano i laterali, sistemassero i marciapiedi – aggiunge Felice Quaresimale -. Poi, questo sanpietrino è caratteristico di questo corso, di questo formato non si trova e finora si è comportato perfettamente. Non lo toccassero assolutamente».
Proprio di fronte c’è un altro storico negozio, Balducci calzature. Padre e figlio, Enzo e Gabriele non hanno dubbi: «Se si migliora l’estetica con un altro marciapiede, una bella illuminazione, qualche addobbo, qualche vaso – dice Gabriele Balducci– allora sì, altrimenti rompere il sanpietrino per fare altro qui il cantiere resterà per altri dieci anni». «No! Rompere il sanpietrino no – interrompe una cliente del negozio ascoltando il discorso -, è la parte più bella del corso!».
Non c’è soltanto il problema del fondo stradale, che viene ‘difeso’ a spada tratta. Anche l’illuminazione non è ritenuta sufficiente: «I punti luce di Enel Sole risalgono all’epoca dell’amministrazione Sperandio – dice Sandro Standoli -, con un accordo se non sbaglio ventennale che si rinnova automaticamente: consumano molto, hanno una manutenzione complessa perché hanno bisogno di mezzi speciali per arrivare fin lassù e non illuminano a sufficienza. Corso de’ Michetti ha un’ampiezza maggiore di corso Cerulli, ma ha la metà dei lampioni comunali. Questa sarebbe occasione per rimettere mano anche questo aspetto».