TERAMO – Quarto Savona 15, il simbolo dei sacrifici degli uomini dello Stato nella lotta contro la mafia. Un monito, un ricordo, un esempio. Non a caso la Fiat Croma blindata della scorta di Giovanni Falcone e della moglie Francesca Morvillo, ridotta a un cubo di rottami, è diventata un simbolo che gira l’Italia per mantenere alta l’attenzione su cosa sia la mafia. A bordo dell’auto, che nel codice della sala operativa della Polizia di Stato aveva il nome di QS15, Quarto Savona 15, trovarono la morte Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani, gli agenti della squadra mobile che nel fine settimana scortavano il giudice, che da Palermo era stato trasferito a Roma. Era la prima auto della colonna e prese in pieno l’onda d’urto dell’esplosione pilotata a distanza lungo l’autostrada per Palermo, all’altezza dello svincolo di Capaci: fu sbalzata a centinaia di metri e ritrovata in un vicino podere. A spiegare ai tanti studenti dell’istituto che porta il nome dei due giudici assassiniati, Falcone e Borsellino, ma anche della San Giorgio presenti in piazza Martiri della Libertà, chi ha vissuto queli anni sotto tre diversi profili, ma sempre uniti e dalla stessa parte: Tina Montinaro, la vedova dal caposcorta morto nell’attentato, Leonardo Guarnotta, magistrato del pool antimafia in quegli anni con Falcone e Borsellino e Luigi Savina, vice capo della Polizia e capo della squadra mobile di Palermo negli anni delle stragi. Con loro il prefetto Graziella Patrizi e il sindaco Gianguido D’Alberto sono intervenuti.
"La pericolosità della mafia – ha detto il sindaco D’Alberto, che ha ricordato all’nniversario della morte del giornalista Pepppino Impastato – sta perciò nella sua capacita di porsi come contropotere che tende ad avere il controllo sociale e, lentamente e progressivamente, a inserirsi nelle istituzioni fino a sostituirsi ad esse. E se ho invitato tutti voi ad una vigilanza civica attenta e consapevole, ho il dovere di ricordare a chi opera nelle istituzioni, me per primo, che la nostra responsabilità è doppia proprio per l’autorevolezza e l’alta disciplina civile che il nostro ruolo ci impone.
Uno degli episodi più dirompenti degli ultimi giorni è quello del figlio del boss mafioso che ha rinnegato il padre "pur amandolo". Credo che questo ragazzo – ha concluso il sindaco – sia un eroe civile, che va sostenuto da tutti noi. Con coraggio inusitato ha testimoniato, forte della sua diretta esperienza, quanto sia inumano il mondo in cui viene proiettato chi si coinvolge con la mafia. Inumano, sì. È questa la parola. Disumana è l’immagine di quell’auto accartocciata. Disumana è la proiezione del male mafioso".