TERAMO – Saranno celebrati oggi, nella chiesa di Sant’Antonio a Castellammare di Stabia, i funerali di Giovanni Di Martino, il meccanico in pensione di 73 anni morto per le conseguenze di una colluttazione con il figlio Giuseppe, intervenuto per difendere la madre, nella loro abitazione di Silvi Marina. Il corpo dell’anziano ha fatto rientro in Campania, la sua terra d’origine, grazie all’insistenza di una sorella insegnante che ha voluto fortemente riportarlo a casa. Se la comunità stabiese tributa a un suo cittadino emigrante l’ultimo saluto, nel Teramano resta la storia processuale di questo delitto, che ha bisogno ancora di più approfondimenti, tesi a chiarire i tanti aspetti ancor molto oscuri della vicenda.
Il pubblico ministero Enrica Medori, titolare dell’inchiesta affidata ai carabinieri del reparto operativo del comando provinciale di Teramo diretti dal tenente colonnello Luigi Dellegrazie, ha deciso di intraprendere la strada dell’incidente probatorio per fissare i tragici minuti del litigio mortale all’interno delle quattro mura domestiche dei Di Martino. Nei prossimi giorni, sicuramente entro la settimana, il pm assistita dai carabinieri e dal consulente medico legale Pietro Falco, sarà al civico 47 di via Alighieri a Silvi Marina per provare a ricostruire la scena del delitto e soprattutto la dinamica dell’evento mortale. Non è escluso che anche Giuseppe Di Martino, l’architetto di 46 anni adesso indagato per omicidio volontario, possa partecipare assieme alla madre al sopralluogo-ricostruzione. Si tratta di un atto irripetibile, secondo quanto recita il codice di procedura penale, e questo renderà tutto quello che verrà raccolto, probante in caso di processo. La ricostruzione del parricida, che insiste sulla preterintenzionalità del suo gesto, i cui effetti sono cioè andati oltre le sue intenzioni, non è credibile per l’accusa: la presenza delle tre ferite alla testa, anche se non compatibili con la morte come avrebbe acceretato l’autopsia, non sono state mai spiegate dall’indagato e invece probabilmente causate dall’aver sbattuto il capo del padre sul tavolino. Così come la frattura vertebrale riscontrata in sede autoptica e ritenuta fatale, potrebbe però confermare quella parte di ‘confessione’ di Giuseppe, confermata dalla madre Anna, presenta al momento del delitto. Proprio il ruolo della donna diventa decisivo: ha raccontato di essere stata strattonata e schiaffeggiata dal coniuge, buttata a terra e insultata per la decisione di andare via di casa e stabilirsi a Domodossola, assieme al figlio. Nessun segno fisico sul suo corpo, riconducibile a violenza fisica, sarebbe stato rilevato dai medici del pronto soccorso dell’ospedale di Atri, dove lei e il figlio si sono recati in macchina, con il cadavere del congiunto a bordo. Perchè Giuseppe e la madre non chiamarono l’ambulanza per il soccorso? E perchè si attardarono a ripulire il pavimento dal sangue e a riposizionare i mobili?