ATRI – Dopo il punto nascita, l’ospedale San Liberatore si appresta a subire un altro scippo. Stavolta a chiudere i battenti sarà la senologia, che è sezione del Mazzini di Teramo, con cui avrebbe dovuto costituire rete di un percorso. Niente di tutto ciò, anzi resa su tutti i fronti, in ossequio al numero minimo di interventi che già aveva condannato il punto nascita, secondo una regola regionale che però sembra trovare applicazione solo in provincia di Teramo e alla sua Asl. Tra qualche giorno, il dirigente medico che tanto ha ‘seminato’, salvando molto donne afette da tumore al seno, il dottor Renato Di Marco, sarà trasferito al Mazzini e affiancherà i colleghi della senologia del capoluogo. Con quali spazi e autonomie difficile prevederlo, visto anche che la mancanza di anestesisti sta riducendo di molto la possibilità di andare in sala operatoria. In ogni caso, una sconfitta per la sanità che vuole essere vicina ai territori ed ennesima dimostrazione di discriminazione dell’azienda teramana. Il chirurgo avrebbe provato a tranquillizzare i pazienti e l’utenza atriana, perché manterrà la possibilità di fare ambulatorio e visite ad Atri, ma sa di trovarsi in una situazione di difficoltà e di penalizzazione, che difficilmente poteva immaginare quando, nel 2009, venne nel Teramano dall’Aquila, per portare il suo contributo di grande conoscitore della materia. Fino ad oggi sono stati infatti molti gli attestati alla professionalità del medico, portati da pazienti affette dal cancro e che dall’intervento del dottor Di Marco hanno ricevuto svoltre positive rispetto alla patologia sofferta. Il San Liberatore, che vive di eccellenze schiacciate tra la raltà strutturale di un presidio di provincia e le previsioni di razionalizzazioni regionali, torna a prospettarsi un altro passaggio drammatico. L’esperienza purtroppo vana delle inziative di protesta per la difesa del punto nascita sono ancora ferita fresca nel ricordo dell’utenza. Il segno lasciato da quella programmazione di tagli, che Atri avrebbe dovuto condividere con altre realtà regionali (come ad esempio Sulmona) e che invece hanno lasciato il nosocomio ducale in penalizzante isolamento, è ancora vivo. Difficilmente la regola regionale, come già accaduto, potrà essere sovvertita. Ma è probabile che qualche iniziativa possa tentare di smuorere le coscienze di chi amministra. Unire i numeri di Teramo e Atri, per dimostrare che il valore della senologia operativa anche nei confini del territorio e raggiungere il fatidico limite dei 150 interventi annuali necessari per aver un centro hub, non sarebbe poi idea peregrina.
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