TERAMO – Tocca ai consulenti medico-legali riallacciare il filo del processo in corte d’assise che vede imputati ex marito e figlio della pittrice Reny Rapposelli, trovata senza vita nel novembre del 2017, a un mese dalla sua scomparsa da Giulianova. Per dire che, contrariamente a quanto spesso accade nei casi di omicidio, "quel cadavere non parlava". Mai come in questo caso, dunque, la valutazione medico legale si affida agli elementi scientifici osservati, prelevati e approfonditi in laboratorio. A cominciare alla causa di morte, che per il medico legale Loredana Buscemi è compatibile con una "causa asfittica", probabilmente per "soffocamente, strangolamento o strozzamento, ognuna da sola o anche per queste modalità combinate, ma di natura omicidiaria". Renata Rapposelli non fu uccisa in altro modo, non si suicidò, tantomeno arrivò viva in quel fossato al margine del fiume Chienti, nel Maceratese. I rilievi sul cadavere e sulla zona attorno, hanno permesso al medico di escludere un malore o un delitto con veleno, anche se quel corpo in avanzato stato di decomposizione, rimasto in balìa degli agenti atmosferici e in parte anche dalla fauna di un’aperta campagna, per circa un mese, non presentava più l’integrità degli organi interni e in particolare non avesse più cuore, polmoni ed encefalo. Tuttavia, secondo la dottoressa Buscemi, "Renata Rapposelli non ha raggiunto autonomamente il luogo del ritrovamento ed è stata trasportata sul posto da terze persone, ma sulla base di calcoli probabilistici, è stata uccisa per asfissia provocata da soffocamento – ha aggiunto il perito rispondendo a un quesito della difesa di Giuseppe (ex marito) e Simone (figlio della pittrice uccisa) -". Osservazione condivisibile, quella dell’avvocato Gianluca Reitano: "E se la donna fosse morta per malore altrove e poi trasportata in quel fossato, cosa le farebbe escludere questa ipotesi?". L’esperienza e alcuni elementi probabilistici, farebbero tendere a giudicare improbabile questa versione per spiegare il decesso. Ad avvalorare la tesi omicidiaria con questa causa, interviene la genetista forense Federica Alessandrini, che non ha rilevato alcuna traccia di sangue sugli indumenti della vittima e ribadito che non esistono tracce di Dna appartenente alla donna nè sulle federe, i cuscini e le lenzuola repertati nell’abitazione o nei sacchi neri dell’immondizia trovati in casa, e tantomeno sotto alla unghia della Rapposelli c’erano tracce biologiche riconducibili a persone diverse. La pittrice fu uccisa altrove, dunque. E il suo cadavere può essere stato tenuto per un breve periodo, qualche ora, da un’altra parte e in ambiente urbano: lo ‘raccontano’ le larve di mosca rinvenute sul suo corpo. La spiegazione l’ha data il professor Stefano Vanin, entomologo forense trevigiano e docente universitario in Inghilterra, attraverso lo studio degli insetti, che attaccano un cadavere con tempi e modalità dipendenti dal clima e dal contesto: "Non sono state rinvenute specie tipiche di altri ambienti – ha detto Vanin -, tali da far pensare ad uno spostamento del corpo durante la decomposizione. Tuttavia non si può escludere la permanenza del corpo per un breve periodo in un luogo diverso da quello del ritrovamento prima della colonizzazione da parte degli insetti".
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