grundy

TERAMO – Il folletto ribelle con la maglia numero 16 non c’è più. Teramo e non soltanto il mondo degli appassinonati del basket piangono Anthony Grundy, che con la maglia della Siviglia Teramo, nella stagioe 2006-2007, esaltò i tifosi biancorossi in una stagione di Serie A che lo vide protagonista in 37 gare, realizzando una media di oltre 18 punti a partita. Il play-guardia è morto in circostanze definite misteriose all’età di 40 anni, bruciando una vita che è stata caratterizzata da atteggiamenti border-line. Soprattutto i suoi ultimi anni sono stati tormentati. Nel 2011 era stato sorpreso e arrestato alla guida di un’auto in stato di ebbrezza (per la quarta volta) e poi condannato a due anni. Tornava negli States dopo un periodo di vita trascorso in Ghana. Appena qualche mese fa aveva investito e ucciso un pedone senza fermarsi a soccorrerlo: si era poi costituito dopo una settimana

Play-guardia dalle eccellenti doti realizzative, Grundy è stato un autentico giramondo della pallacanestro. Dopo una carriera universitaria a North Carolina State (i Wolfpack, che hanno visto passare dalle loro parti personaggi come Vinny Del Negro, Spud Webb, Nate McMillan e Tom Gugliotta tra gli altri), ha iniziato a fare su e giù tra l’America e altri mondi, passando dalla Germania alle leghe minori degli States, da Israele al Venezuela, fin quando gli Atlanta Hawks gli offrono la possibilità di giocare 12 partite in NBA. Nel 2006-2007 ha effettuato l’approdo a Teramo, lasciata con 18.2 punti di media. I due anni successivi li ha trascorsi al Panellinios, in Grecia, prima di tornare in Italia, pur non riuscendo a evitare la retrocessione di Ferrara. Avrebbe potuto giocare anche con Verona, ma non ha superato le visite mediche.

Negli ultimi anni la sua vita è stata piuttosto tormentata: nel 2011 è stato trovato a guidare in stato di ebbrezza per la quarta volta, venendo poi condannato a due anni una volta tornato negli States dopo un periodo di vita in Ghana. Nello scorso giugno ha investito e ucciso un uomo senza fermarsi sulla scena dell’incidente, confessando una settimana dopo, pur non sapendo cos’avesse effettivamente colpito.