TERAMO – Si trascina vergognosamente verso la prevista prescrizione il processo in corso al tribunale di Lucca per stabilire finalmente la verità nella tragedia che ormai 15 anni (era il 18 marzo 2005) vide perdere la vita l’eroe teramano Stefano Bandini e il suo copilota Claudio Rossetti. E l’udienza che si è tenuta ieri, non ha fatto altro che ribadire quanto l’anelito di verità attorno a ciò che portò il Canadair della Protezione Civile a precipitare in Versilia durante una operazione antincendio, appartenga soltanto ai famigliari di Stefano e agli avvocati Gianluca Pomante e Michele Artese che da anni si battono per questo. Il pm nella suq requisitoria ha chiesto l’assoluzione per i quattro imputati, a vario titolo coinvolti nelle operazioni di emergenza boschiva quel giorno: a cominciare dal responsabile della Coau (Centro operativo aereo unificato) di Ciampino, di quello della Soup (Sala operativa unificata permanente) di Firenze, per continuare con il direttore delle operazioni di spegnimento e quello della Comunità montana locale, che tra l’altro quel giorno non era in servizio. La contestazione è comune: disastro aviatorio in relazione alla condotta omissiva tenuta nella situazione.
Ma a distanza di 15 anni si sta per concludere un processo che non avrà colpevoli. Sarà purtroppo così perchè il 18 marzo scatta la prescrizione che salvera qualsiasi condanna. Ma arrivare ad una definizione, anche con una sentenza di primo grado, significherebbe rendere giustizia a due giovani piloti impegnati in un intervento di soccorso pubblico, che sapendo di morire, fecero di tutto, riuscendovi, per non precipitare su un ospedale e una scuola, preferendo schiantarsi su un cantiere. Non a caso la loro medaglia d’oro al valor civile assegnata da Ciampi il 26 ottore 2005 ha un imperituto significato per tante comunità coinvolte nella commozione e nel ringraziamento a vita. Il processo imbastito dalle parti civili (Gianluca Pomante rappresenta Livio Bandini, il papà di Stefano e Michele Artese il fratello Andrea) è stato difficile e complesso: nel corso degli anni, l’inerzia della pubblica accusa non ha impedito che andassero perduti i tracciati radar, le registrazioni della torre di controllo di Pisa, le conversazioni tra i piloti, in sostanza il 90 per cento delle prove non esiste più. Eppure, la speranze di arrivare a dimostrare che Stefano e Claudio quel pomeriggio quasi al tramonto siano stati mandati al massacro, è ancora l’ultima a morire. Combattendo anche contro la cinicità di chi ha asserito che i due piloti avessero un tasso alcolemico superiore al consentito e che la manovra per non precipitare sull’abitato e salvare vite umane (come ribadito dallo stesso presidente Ciampi nella motivazione dell’onorificenza) sia stata determinata dalla rottura del timone di coda…
Quel giorno i due piloti volavano senza collegamento radio con la direzione delle operazioni di spegnimento a terra e soltanto indirettamente, attraverso la sala controllo della società che gestiva i Canadair, alla base di Ciampino. Quel Canadair non poteva e non doveva volare per un intervento antincendio, in assenza di condizioni di sicurezza: il rogo era a meno di 500 metri da un elettrodotto e il rischio era altissimo non soltanto per i piloti, come fu, ma anche per gli altri soccorritori impegnati a terra. La colonna d’acqua lanciata dal velivolo, tra l’altro anche ricca di salinità perchè di mare, in combinazione con il pulviscolo di residui di legno dell’incendio boschivo, avrebbe aumentato di 15 volte il potere conduttivo e provocato archi voltaici pericolosissimi. Tra l’altro, nessuno si premunì di disattivare l’elettrodotto, sussistendo questo gravissimo rischio. La sentenza di questo processo di primo grado, istruito ‘per forza’ dalla richiesta di avocazione alla procura di Firenze avanzata dalle parti civili e dopo una precedente richiesta di archiviazione e tanti esposti, è prevista per il prossimo 9 marzo.