TERAMO – Dodicimila infermieri abruzzesi contro la Regione Abruzzo per la gestione sanitaria dell’emergenza Coronavirus, pronti ad adire alle vie legali se la situazione non dovesse cambiare, sia dal punto di vista della sicurezza sanitaria, che dell’istituzione delle Usca. Con una lettera i presidenti degli Ordini delle Professioni Infermieristiche di Chieti, Giancarlo Cicolini; L’Aquila, Maria Luisa Ianni; Pescara, Irene Rosini; e Teramo, Cristian Pediconi, hanno inviato stamattina al presidente della Regione Marco Marsilio, all’assessore regionale alla Sanità Nicoletta Verì e ai direttori delle quattro Aziende Sanitarie Locali per lamentare la scarsa qualità e l’insufficienza dei Dispositivi di protezione individuale, la mancata valorizzazione professionale degli infermieri nella gestione dell’emergenza Covid-19 e per chiedere alla Regione un incontro urgente per risolvere questi problemi.
«A nome e per conto dei nostri 12mila iscritti – si legge nella lettera – intendiamo esprimere il nostro totale disappunto sulla mancanza di rispetto e considerazione della professione infermieristica dimostrata da questa Regione, che in merito all’emergenza Covid-19 è emersa in tutta la sua miseria. Purtroppo attualmente ci troviamo ad affrontare una serie di problemi:
DPI SCADENTI E INSUFFICIENTI. «I DPI (mascherine, tute, guanti, visiere, scarpe, stivali, ecc.) forniti dalla Regione attraverso la collaborazione con la protezione civile, risultano inadeguati… e aumentano di fatto il rischio di contaminazione. I nostri decisori dovrebbero essere a conoscenza che l’assistenza ai malati Covid 19 prevede interventi invasivi e non, con rischio di schizzi di materiale organico in molti contesti dove si opera, che vanno dalle terapie intensive ai reparti Covid+, fino ad arrivare a considerare gli interventi sul territorio (118, territorio). Eppure l’insufficienza dei DPI forniti dalla sanità regionale porta a non prevedere un cambio durante un turno di lavoro, trattenendo qualsiasi bisogno fisiologico che va dalle 8 alle 10 ore!».
DIFFIDA USCA. «Premesso che, in questa emergenza nazionale, il valore dell’Infermiere con competenze specifiche sia un dato di fatto innegabile, vedasi il contributo emerso in Emergenza e in area Critica, ma allo stesso modo, riteniamo poterlo confermare per l’infermiere che opera nelle Cure Primarie, è emersa nostro malgrado l’esclusione totale della professione infermieristica dall’Emergenza Covid.
Ad oggi, il ruolo della professione infermieristica è considerato quale mero esecutore, nessuna condivisione e/o partecipazione ad attività direttive o di programmazione a livello regionale è stata prevista». Gli infermieri inoltre diffidano la Regione sulle USCA, le unità messe in campo per l’assistenza domiciliare ai malati Covid, composte da un medico e (dal testo dei provvedimenti regionali) un infermiere/operatore sanitario o autista. «È di tutta evidenza che, così articolata e declinata la previsione di un “collaboratore del medico”, la figura professionale dell’infermiere non solo viene ingiustificatamente e immotivatamente individuata come “collaboratore”, e dunque non considerando la sua autonomia professionale quale “responsabile dell’assistenza”, ma, soprattutto, viene creata, in maniera del tutto illegittima e arbitraria, una sorta di incomprensibile equivalenza di funzioni tra infermiere, oss e autista. Professionalità che equivalenti non sono, con evidente e altrettanto illogica corrispondenza e parità di attribuzione fra le tre figure, così creando una indebita interscambiabilità dei ruoli, e ciò in aperta violazione di legge».
«Si sottolinea inoltre come nello stato d’emergenza attuale e la carenza di infermieri, gli stessi possono essere utilizzati come collaboratori del medico per attività di triage, quando il Ministero della Salute nelle Linee d’indirizzo Nazionali sul Triage, recepito dalla conferenza Stato-Regioni, la definisce una funzione infermieristica».