Anche gli Ermellini hanno ribadito la condotta calunniatrice di chi aveva perso privilegi e potere in Ateneo. D’Alfonso: “Verità batte verosimile 3-0”. Mastrocola: “Il fatto non sussiste unico approdo per questa vicenda”
TERAMO – Scrive il senatore Luciano D’Alfonso: “Con il pronunciamento anche della Cassazione, possiamo dire che a favore di Luciano D’Amico, la verità ha battuto il verosimile 3 a 0 e tutta l’iper rubricazione accusatoria è stata spazzata via come acqua piovana sui tetti. Resta un problema. Con D’Amico alla presidenza di Tua, la società unica dei trasporti, gli abruzzesi avevano trovato un amministratore irripetibile per bravura e onestà. Quella inchiesta risultata fangosa lo ha tolto di mezzo e questo è stato un danno patito da tutti gli abruzzesi“.
E’ l’amara quanto vera sintesi di una vicenda giudiziaria che ha avuto ripercussioni personali per l’ex Rettore dell’università di Teramo e conseguenze indirette per la società, con la dispersione del patrimonio umano, professionale e formativo, di questo docente illuminato. Gli Ermellini hanno confermato che quello per cui l’indagine aveva lavorato a vuoto per mesi e mesi, era solo fango. Che “il fatto non sussiste” era chiaro, soprattutto perchè era cavilloso indagare per ‘sottrazione’ di ore tra i due incarichi di Rettore e presidente del Cda della Tua e non rilevare che sia il primo che il secondo ruolo erano stati svolti con grande rigore e con gli obiettivi centrati: UniTe ha raggiunto l’apice della notorietà e della solidità, recuperando dal baratro, l’impresa di trasporti pubblici ancor più, annullando un deficit mostruoso sotto la guida di Luciano D’Amico.
Il tentativo di ‘accelerare’ con un ricorso per saltum, senza passare dall’Appello, è stato vanificato da una sentenza che ha ribadito come quello che era stato portato nel fascicolo d’accusa era solo fumo. Soddisfazione postuma, che indica ancor più al pubblico ludibrio chi ha cercato, screditando e coprendosi dietro l’anonimato, di far fuori chi aveva ripristinato la legalità interna ad un ateneo alla deriva, dove impiegati e figure di secondo piano e ancora altre mezze figure, gestivano un cortile di potere e avevano trovato sulla loro strada inflessibilità e rispetto del dovere.
La stragrande maggioranza del personale e dei protagonisti dell’Ateneo teramano ha esultato per questo risultato giudiziario che riporta la verità al centro ma purtroppo non restituisce a D’Amico anni vissuti nell’ansia e nella delusione. E chi ha spalmato fango è sempre lì, più spavaldo di prima e soprattutto, impunito.
Una vicenda in cui per una parte è stato coinvolto anche il preside emerito di Scienze della Comunicazione, Stefano Traini. “La sentenza definitiva ha confermato che l’azione dell’Ateneo di Teramo durante il rettorato del professor D’Amico è stata sempre ispirata agli inderogabili principi etici di rigore, sobrietà e trasparenza – commenta l’attuale rettore di Unite, Dino Mastrocola –. Il pronunciamento della Cassazione, confermando l’esito del processo di primo grado, ha definitivamente ripristinato la verità di ciò che è stato, confermando che l’azione del professor D’Amico e dell’intera governance dell’Ateneo, ha garantito rinnovamento, sviluppo e affermazione senza precedenti dell’Università di Teramo, centrando obiettivi che sembravano irraggiungibili. L’epilogo dell’iter processuale, sul cui esito non ho mai avuto dubbi, ha sancito, sebbene in tempi troppo lunghi, l’unico approdo possibile di questa vicenda: “il fatto non sussiste”.
Non da meno, nell’analisi di cosa questa vicenda ci lascia, come teramani e cittadini, è affidata allo scritto dell’avvocato Renzo Di Sabatino, del pool di legali di difesa con Tommaso Navarra e Gennaro Lettieri: “Se nessuno è profeta in patria, miglior sorte non hanno i giganti che la sorte ti regala, ma che invece di apprezzare, combatti senza avere neppure il coraggio di farlo a viso aperto“.