TERAMO Il sipario che è calato sul convegno della chiesa teramana, forse per la prima volta non rimanda all'analogo appuntamento del prossimo anno ma rinvia già a marzo e alla serie di conferenze che la diocesi ha annunciato per i prossimi mesi. Ecco, il lascito del congresso è proprio questo: il varo di una serie di iniziative che chiameranno i cattolici ad un coinvolgimento pieno e ad una convita opera di proselitismo. E'stato proprio il vescovo Seccia, nel tracciare le conclusioni della duegiorni, ad invitare i presenti (sacerdoti, suore, movimenti, intellettuali) a “fare del nostro convegno una occasione produttiva”. E cos_ già dalla prossima settimana, un apposito organismo diocesano comincerà a preparare la Festa della famiglia, in calendario per la prima domenica di Marzo, che verrà pertanto proposta e vissuta con particolare enfasi. Il volto che emerge è comunque quello di una chiesa teramana in transizione. Capace di produrre al suo interno intellettuali come i coniugi Danese, che hanno tenuto una relazione su laicità e laicismo molto seguita e apprezzata, ma anche esasperate riflessioni al confine tra la teologia e l'antropologia con inquietanti escursioni in termini quali “cristico” e abramitico”. E' una chiesa capace di presentare progetti di intervento contro la disoccupazione e l'usura ma anche di rappresentare stucchevoli e scontate meditazioni sul volersi bene e sull'amore per il prossimo. E' una diocesi nella quale non mancano divisioni ed antipatie ma che è in grado di porre al centro le due parole che il Vescovo ha indicato come prioritarie: la comunione e la famiglia. Anche la politica ha fatto capolino durante i lavori del congresso, con qualche cenno non diretto all'unità dei cattolici o, meglio, alla necessità di affermare valori comuni, oltre le appartenenze. Mons. Seccia, da pochi mesi a Teramo, si è manifestato con una semplicità lontanissima dall'approssimazione, con umiltà dissimile da condizione dimessa, con un eloquio non esaltante ma comunque efficace e diretto, con una sincerità che non ha tradito una consapevolezza approfondita del proprio ruolo e compito. Ha chiesto ai suoi di avere pazienza e di saper attendere che continui ad avvicinare, conoscere, ascoltare la diocesi per capire “chi siamo e cosa dobbiamo fare”. Rimane una impressione generale, ed è quella della contrapposizione tra una visione della chiesa come organismo da identificare come agenzia sociale dedita ad un generoso filantropismo e quella di una comunità viva, corpo del Cristo, luogo della felicità. Agli organismi diocesani, nei quali il Vescovo ripone molta attesa e fiducia (in particolare la Consulta che raggruppa i movimenti laicali), spetta un compito non facile…
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