TERAMO – Il commercio teramano? E’ sempre più multietnico. All’inizio la “colonizzazione” è partita in sordina: i commercianti di etnia cinese hanno preso piede soprattutto tra le bancarelle del mercato del sabato. Adesso un banco su tre è occupato da loro. Poi hanno cominciato ad aprire anche negozi a posto fisso: all’inizio in periferia, anche con metrature importanti, come nel caso dei locali della zona di Piano D’Accio, prima occupati da una grande catena di elettronica, e poi sempre più verso il centro, da via Fonte Regina fino ad approdare all’interno del salotto buono della città: nel centralissimo corso De Michetti e ora anche in piazza San Francesco, dove, da poco ha aperto una sorta di mini centro commerciale, tutto made in Cina, dove a far la parte del leone resta sempre l’abbigliamento, a cui però si sono aggiunte anche altre categorie merceologiche, persino la ferramenta. Il centro storico, intanto, si è riempito di nuovi odori e sapori, grazie all’incredibile espansione dei negozi di kebab e affini, cibo che, al pari del sushi, è diventato davvero di moda tra i giovanissimi. Ed eccoli, quindi, spuntare come funghi, anche nella centralissima piazza Garibaldi o in via Carducci, dove il fenomeno assume anche una connotazione sociale: mentre molti esercizi gestiti da teramani hanno chiuso i battenti, quelli multietnici invece resistono, amalgamandosi anche con i negozi più chic della città: dalle boutique di abbigliamento firmato per giovani, al negozio di ottica griffatissimo fino alla gioielleria storica. I commercianti teramani, però, non sembrano particolarmente preoccupati del fenomeno. “E’ un segno dei tempi – afferma Giancarlo Da Rui, presidente del centro commerciale naturale –forse è anche segno che la mentalità dei teramani, o, meglio di alcuni teramani, sta cambiando: alcuni anni fa insediamenti commerciali gestiti da cinesi non attecchirono, ora, invece, sembrano avere più fortuna. L’unica cosa che, da commercianti, possiamo auspicare, è che anche gli stranieri rispettino le regole a cui siamo sottoposti noi, ad esempio mettendo dei prezzi ben leggibili in vetrina, cosa che non sempre accade”. Anche il presidente provinciale della Confesercenti Antonio Topitti esprime un’opinione analoga. “Si potrebbe parlare – sostiene Topitti – di una sorta di colonialismo di ritorno. E’ un segno dei tempi che cambiano, dobbiamo conviverci. Certo, la concorrenza è sul prezzo non sulla qualità, quindi anche il target è abbastanza specifico. L’importante è che tutti operino nella legalità, rispettano le regole sia per quanto riguarda il trattamento dei dipendenti e gli oneri contributivi, sia soprattutto per quanto concerne le norme igienico-sanitarie, fondamentali se si opera nel campo della gastronomia”.
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