TERAMO – Immaginare Lino Nisii e non pensarlo nello studio di corso San Giorgio è difficile. Strano, perché le banche sono per tutti un concentrato di aridità, mentre a Teramo non è così. La Tercas è una signora banca ovunque, a Teramo rappresenta ben altro. La personalizzazione è violenta: quando nel 1982 l’avvocato Lino Nisii fu per la prima volta presidente dell’allora Cassa di risparmio, la città era divisa in due, nell’attesa. Chi era pro e chi contro. Nisii (per molti solo “l’avvocato”, come per Agnelli) se ne è andato ieri da corso San Giorgio e ha chiuso alle proprie spalle la porta che separa un’epoca dall’altra. Quella in cui Nisii era oggetto addirittura di tifo (e vedremo più avanti che l’espressione è propria) era una città costantemente alla ricerca di una figura paterna. La si cercava tra i politici, i presidenti di banca, i sindaci. L’inizio degli anni ’80 era il periodo del vigore fisico e della forza mentale dei Tancredi, gli Aiardi, i Valerii. C’erano Lettieri e Di Giovanni, Scipioni e Franchi. Il potere politico si spostava rapidamente sul piano della finanza e anche un altro democristiano di ferro, Di Sante, divenne presidente di una banca, quella Popolare, praticamente sua. In città era normale che questo avvenisse. Era giusto, o almeno ovvio, che i potenti lo fossero a tutto tondo, e che la loro forza fosse dimostrata anche con quella finanziaria e che avessero in mano uno strumento utile per l’attività politica, una banca. In più, erano anche padri. I teramani più moderni sceglievano Nisii, i più tradizionalisti e accorti Di Sante, i più inquadrati Tancredi (che la banca non ce l’aveva ancora). Anche per la banca Nisii e Di Sante litigavano un po’ sulla leadership territoriale. C’era uno slogan, della Banca Popolare, che andava in onda a Teleteramo che diceva: ”La banca che parla il tuo dialetto”. Nisii e i suoi dirigenti si vantavano del fatto che ai loro sportelli si parlasse “solo italiano”. Il potere aumentava e l’immagine di Nisii lievitava, al punto che lui imparò (in questo è stato maestro) ad avvalersi di meriti che non erano suoi. Non scippandoli, ben inteso, ma mai smentendo ciò che a lui veniva attribuito, nel bene e nel male. Un piccolo ghigno di intesa e tu capivi che quell’assessore faceva riferimento a lui, anche se era ufficialmente di altra corrente. E magari non era vero. Quando ai teramani non bastò più ritenere che Nisii fosse il padre di un pezzo di collettività e lo dimostrasse “solo” con i prestiti della banca e le decisioni politiche (attenzione: cariche a Nisii poche, perché le elezioni non gli si confanno), gli fecero fare le formazioni del Teramo. L’avvocato, anche qui, non si sottrasse mai al ruolo che comunque la città sentiva il bisogno di attribuirgli, quello di eminenza grigia, anima ispiratrice persino di presidenti e squadre di calcio, più bianca che nera. Quando Malavolta la spuntò sul calcio per Nisii fu un trauma. Niente più calciomercato e la Tercas, da banca del Comunale, diventò banca del Palascapriano, dove la voglia dell’avvocato di intrecciare ancora tutte le sue attività con la banca e la città si acuì, insieme con l’esigenza di incidere ancora profondamente sul destino di Teramo, al punto che Antonetti fu presidente del Teramo Basket e per mezza giornata anche candidato sindaco del centro sinistra. L’erede, Nisii, non l’ha avuto mai. Dietro a lui nessun grande avvocato, sponsor, capo corrente politico, presidente. Questa è l’era dei Commissari.
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