TERAMO – Uno su cinque. E’ questa la media dei negozi di abbigliamento che hanno chiuso i battenti in Abruzzo, tra il 2007 e il 2012. Hanno inoltre cessato l’attività il 19,3% delle rivendite alimentari e il 9,7% delle strutture ricettive. Complessivamente il terziario abruzzese ha perso 5.117 posti di lavoro fra titolari e dipendenti. E’ quanto emerge da uno studio elaborato da Confesercenti Abruzzo, che mette in luce, soprattutto, la crisi del settore abbigliamento, dove è cessato il 22% delle attività, percentuale più alta della media nazionale, e il reddito d’impresa è sceso del 20%. A pesare è stata anche la mancata programmazione delle aperture di grande distribuzione, che ha fatto dell’Abruzzo «un esempio negativo in Italia». Note positive, invece, arrivano dai settori tradizionalmente anticiclici, come i pubblici esercizi (+6%) e le partite Iva (+10,6%) nel campo dell’intermediazione, ultima spiaggia per tanti lavoratori che non trovano spazio come dipendenti. Cresce inoltre il numero dei commercianti ambulanti (+15,2%), sia per l’apporto degli immigrati, sia per la scelta di tanti negozianti che, chiuse le attività, si dedicano alla vendita nei mercati itineranti. Se i redditi decrescono, la tassazione aumenta: quella locale è cresciuta del 5,5%, tanto che ogni imprenditore abruzzese ha dovuto sborsare 1.508 euro nel 2012, più gli 11.363 euro che sono andati al Fisco. Sul fronte creditizio, fra il 2007 e il 2010, le sofferenze bancarie in Abruzzo sono cresciute del 64,8%, superando i 460 milioni di euro. L’Abruzzo ha un triste primato: èn l’unica delle regioni italiane che hanno erogato ai Confidi zero risorse. Il 2012, nel complesso, rappresenta uno degli anni di maggior cambiamento negativo per le piccole e medie imprese abruzzesi: 3.379 le imprese artigiane che hanno cessato l’attività, con un saldo pari a -1.048. Nel commercio il saldo negativo è stato pari a -874 unità, con il record negativo di Pescara, dove il saldo è di -365 unità.
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