NERETO – In dieci anni gli è stata intitolata mezza via di Nereto ma non gli è stata data giustizia. L’avvocato Libero Masi e la moglie Emanuella Chelli oggi avrebbero 67 anni. All’alba del 2 giugno del 2005 furono ritrovati in un lago di sangue nella loro abitazione, i corpi straziati da mani feroci. Di chi fossero quelle mani non si è mai saputo. Rilievi, accertamenti tecnici, intercettazioni ambientali, soffiate, depistaggi, tanti testimoni inattendibili e altri, più puntuali, mai creduti: è affollato di tanti passaggi e molti aspetti controversi la storia dell’inchiesta sul duplice delitto di Nereto. Chiusa e riaperta due volte ma sempre senza esito: delitto commesso da ignoti. Un delitto perfetto, dunque, su cui la pietra tombale per la verità è stata messa cinque anni fa quando il gip Guendalina Buccella ha definitivamente archiviato l’indagine. Nessuno ha potuto dire ai due figli della coppia stimata e amata, chi fossero gli assassini dei genitori. Mille le ipotesi, nessuna certezza. Da un lato gli investigatori, convinti che si fosse trattato di una rapina degenerata in omicidio, dall’altro il giudice che questa ricostruzione l’ha spazzata via perchè i soldi che si credeva fossero stati portati via, 30mila euro incassate come parcelle, furono ritrovate nel 2009 in una scatola di scarpe in una stanza della casa. Attorno alla strage, i nomi di cinque sospettati, tre marsicani e due teramani, con un filo sottile che legava questo a un altro delitto di un commerciante della Marsica: ma nè arma del delitto, nè impronte, tantomeno le verifiche sui movimenti degli indagati potettero sostenere un coinvolgimento nel duplice delitto. Oggi, allo scoccare del decimo rintocco, è come se fossero stati uccisi ancora. Per la decima volta.
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