TERAMO – A dicembre, quando partecipò a un incontro nel ricordo di Pino Sabbatini, l’alpinista soccorritore deceduto sul Gran Sasso un anno e mezzo fa, Roberto "Jan Hill" Iannilli scriveva: “Sono davvero un uomo fortunato, ho tutto, ho avuto la possibilità di disegnare la mia fila di "puntini rossi" su pareti mai scalate da altri…". Lo scriveva raccontando assieme al suo inseparabile amico di scalata, Luca D’Andrea, la salita di "Smisurata preghiera", la punta mai scalata sul Gran Sasso, che avevano proposto insieme di dedicare a Pino. Era questo, il 60enne alpinista romano ma abruzzese d’adozione per via della sua passione per il Gigante che dorme, montagna che aveva percorso per ogni dove, via o parete. Iannilli non era uno qualunque, nemmeno un alpinista e basta. Era un ‘mito’ dell’arrampicata, colui sempre impegnato nella conoscenza del suo limite. E quando vivi così, quello che è successo nella notte del paretone del Camicia è solo una fatalità, un appuntamento col destino e basta. Scorrendo oggi quello che Iannilli aveva lasciato scritto sui profili Fb suo e di Luca, si capisce forse un pò di più chi e che cosa la montagna, lo sport, la gente che ama il verticale e questi irripetibili afflati con la natura, ha perso sulla parete nord del Camicia. Viveva secondo il motto: “Scalo, quindi sono!», Roberto. Ecco cosa scriveva ancora il 21 marzo:
«Scalo, quindi sono.
Il nostro è il tempo dell’immagine fotografata, del filmato, dei social network, dei “mi piace”. L’ apparire è da un pezzo più importante dell’ essere e noi appariamo, senza pudore, senza accorgersi che al di la dell’ immagine resta poco. Momenti importanti davvero, o banali sul serio, vengono prontamente “stampati” in un file, pubblicati in rete e catalogati nel caos del nostro hard-disk, archiviati tra migliaia di altri istanti dimenticati. Tuttavia è impossibile trattenere ogni immagine e capita di non avere l’ opportunità per fermare un fotogramma o filmare la scena. Certi momenti restano tuoi soltanto nei ricordi. Ma ciò non significa che siano effimeri, anzi. Accade infatti che alcune di queste immagini siano talmente potenti da rimanere limpide nonostante il passare degli anni, come scolpite nella mente. Piuttosto, lo scorrere del tempo le completa, le arricchisce di colori, profumi, emozioni. Sono questi i momenti che contribuiscono a donare un significato alla vita, che la rendono unica, che ti fanno dire “io c’ ero”.
Per un alpinista questi “fotogrammi mentali” sono sempre colmi di vita, anche se, allo stesso tempo, questa vita l’ abbiamo messa a rischio. In quel momento siamo in balia di emozioni con un significato talmente alternativo da confondere le percezioni sensoriali. Il tempo e lo spazio si contraggono e si allargano, scopri un te stesso a volte inatteso, ti senti finalmente padrone della tua vita. Tutto dipende dalle tue dita che trattengono l’appiglio e dal tuo alluce che spinge sull’ appoggio all’ interno delle scarpette. Un errore potrebbe essere soltanto tuo.
Io esisto perché arrampico in montagna, perché mi metto in gioco; al di la del ragionevole, al di la della vita di tutti i giorni. Scalo, quindi sono!»