TERAMO – E’ uno scandalo giudiziario che coinvolge una decina di intermediati e 12 tra ufficiali dello Stato civile e vigili urbani di quattro comuni teramani quello che emerge dall’inchiesta ‘Cidadania’ (che in portoghese significa cittadinanza), condotta negli ultimi due anni dal pool di poliziotti della squadra mobile diretti da Roberta Cicchetti e dal suo vice, Ennio Falconi e coordinati dal questore Enrico De Simone, sull’acquisto delle cittadinanze italiane di un numero imprecisato di cittadini brasiliani con avi in Italia. Nei confronti dei funzionari comunali e vigili di quattro comuni del Teramano (Castellalto, Roseto, Notaresco e Pineto) potrebbero scattare le interdizioni per un anno all’esito degli interrogatori del gip, mentre per 10 titiolari delle agenzie di intermediazione sono scattate le ordinanze cautelari di divieto di dimora nella provincia di Teramo: tutti sono accusti di concorso in abuso d’ufficio continuato. La magistratura teramana, titolari del fascicolo sono il procuratoe Antonio Guerriero e il sostituto Stefano Giovagnoni, ha così smascherato i meccanismi di una macchina ben oliata, che attraverso intermediari molto addentro agli uffici comunali – in molti casi al punto da gestire le verifiche delle residenze -, riusciva in pochissimo tempo ad ottenere per conto dei loro clienti brasiliani l’agognato passaporto italiano e produceva un fatturato importante: si calcola che una sola agenzia, tra le poco meno di una decina attenzionate, ha fatturato per questa attività somme vicine al milione di euro. Un business, dunque, che si manteneva forte per via degli agganci organizzati all’interno dei comuni da parte degli intermediari. Uno dei requisiti fondamentali previsti dalla normativa per il rilascio delle cittadinanze "ius sanguinis", infatti, è quello della residenza in Italia, ovvero del possesso dello "ius civitatis", che può attestare il comune italiano. Ebbene, l’inchiesta ha verificato che addirittura le domande per la cittadinanza erano state presentate in anticipo rispetto all’effettivo ingresso in Italia dei brasiliani richiedenti, in altri casi che l’ufficiale di Stato civile aveva attestato la presenza nell’abitazione indicata dello straniero, che invece si trovava ancora nel Paese d’origine e non era entrato in Italia. In altri casi si è addirittura scoperto che le abitazioni servivano da ‘parcheggio’, ovvero servivano da ‘tetto’ fittizio per i richiedenti la cittadinanza italiana ed erano condivise tra molti brasiliani. L’inchiesta ha verificato numeri impressionanti, partendo dal caso delle 75 richiesta di cittadinanza italiana presentate da altrettanti brasiliani tra il 2015 e il 2016 nel solo comune di Notaresco, e che il numero di cittadinanze italiane concesse e messe sotto la lente di ingradimento sono state 400 nel solo 2016. Il numero anomali di brasiliani a Notaresco che richiedessero la cittadinanza saltò agli occhi agli agenti del commissariato di polizia di Atri, diretti dalla dottoressa Ester Fratello, che fecero scattare gli approfondimenti del caso.
Lo scopo del rilascio dei passaporti italiani è stato presto spiegato: una volta ottenuto, e con esso anche il diritto a usufruire delle norme previste dal trattato di Shengen, i nuovi ‘italiani” riuscivano molto più facilmente a trasferirsi all’estero in Europa (e prima della Brexit soprattutto nel Regno Unito per motivi di lavoro), cosa evidentemente più difficile se cittadini con il solo passaporto brasiliano. I passaggi del movimento di affari è stato dunque subito chiaro: molti aspiranti cittadini italiani si presentano alla frontiera per l’ingresso con visto turistico (valevole tre mesi), qui vengono supportati da un’agenzia di intermediazione che procura loro un alloggio temporaneo presso un qualsiasi comune teramano, che si preoccupa avviare le pratiche per le richiesta e l’ottenimento della residenza in quel comune, e ottenre così attraverso l’Ufficio di Stato civile di quel comune anche la cittadinanza italiana "ius sanguinis" per avere un avo italiano emigrato da anni, in questo caso in Brasile. Il costo? Ogni pratica sembra richiedesse l’esborso di una somma tra i 3.500 e i 5.000 euro a testa.