TERAMO – E’ nei tabulati e nelle intercettazioni ambientali che si dipana l’accusa di omicidio volontario aggravato nei confronti di Giuseppe Santoleri e del figlio Simone, per la morte della ex moglie e madre, la pittrice Renata Rapposelli. Perchè la lunga teoria di contatti, partenze e scomparse viene raccontata attraverso la lettura del nemico peggiore di chi vuol delinquere: il telefono cellulare.
Nel processo dinanzi alla Corte d’Assise del tribunale di Teramo, è la volta di chi, nella sala di ascolto del nucleo investigativo carabinieri del comando provinciale di Ancona, a quei tabulati ha lavorato ricostruendo passo passo i giorni dei due imputati, prima, durante e dopo il delitto della pittrice. Utenze sotto controllo e incrociate con le intrcettazioni ambientali, mettono spalle al muro chi fino ad oggi ha sempre negato ogni responsabilità nella scomparsa della madre, il figlio Simone Santoleri. E’ lui il personaggio chiave attorno al quale gli investigatori hanno stretto il cerchio degli indizi, riferito in aula dal maresciallo maggiore Antonio Saracino.
A partire dalle interviste rilasciate dal giorno della scomparsa della donna e fino a qualche giorno prima dell’arresto suo e del padre. Dichiarazioni sottolineate in aula, assieme a tutte le contraddizioni tra le diverse interviste, che hanno instradato le indagini verso una soluzione famigliare del giallo. Simone nel raccontare il rapporto con la madre prende sempre più livore nel denunciare la propria delusione per un disinteresse mostrato da lei verso una sua presunta malattia (di cui non è risultata nessuna traccia e tantomeno un ricovero programmato in ospedale), quanto il suo interesse a rivendicare denaro mai versato dall’ex marito.
Ma sono i dettagli tecnici, ad esempio, sull’attività del cellulare della vittima a far sospettare che Renata Rapposelli, giunta a Giulianova il 9 ottobre 2017 e mai più tornata ad Ancona perchè trovata cadavere in una scarpata presso Tolentino l’11 novembre, sia stata uccisa proprio nella casa dei suo famigliari in via Galilei. L’ultima telefonata la fa al marito alle 13: alle 15:39 quel telefono, lo dice il sistema che registra il contatto su tabulato, viene spento. Da chi non si sa, da quel momento il telefono sarà muto per sempre. Ma al processo è anche il giorno del dettaglio del tragitto della Fiat Seicento di colore bianco, che viaggia verso Tolentino, passando da Porto Sant’Elpidio, immortalata da due telecamere. Simone ha sempre detto che il padre Giuseppe aveva accompagnato la madre a Loreto, il 9 ottobre. Ma quel giorno non c’è traccia del passaggio dell’auto, cosa che accade invece il 12 ottobre, di mattina. Nella ricostruzione fatta su una macchina dei carabinieri, da entrambi, padre e figlio, lungo il tragitto è proprio Simone il più attivo nel ricordare particolari che dice aver appreso dal padre, ma che quest’ultimo non ricorda. Che Simone fosse stato alla guida della Seicento che quel 12 ottobre portava il suo tragico carico di morte verso Tolentino, la pubblica accusa è convinta: lo dimostra con i tabulati della scheda dati di Simone, quella con cui gioca al pc su MiraMagia, una passione pressochè quotidiana. Quella scheda si collega tutti i giorni tranne che in tre occasioni: il 9 ottobre, quando in casa Santoleri c’è il litigio tra la pittrice i suoi famigliari, il 12 ottobre quando le telecamere immortalano il viaggio della Seicento nelle Marche e il giorno in cui Simone e il padre sono impegnati nella ricostruzione del viaggio verso Loreto assieme ai carabinieri.