Vanificate le speranze della tifoseria, niente Lega Pro e niente Serie D. L’unica strada per i Dilettanti resta quella percorsa dal sindaco attraverso l’ex Lodo Petrucci
TERAMO – La frittata è fatta. Il Teramo calcio adesso è proprio fuori dalla serie C. Lo dice anche il Tribunale amministrativo del Lazio, sezione di Roma, con la sua ordinanza cautelare numero 05026 che di fatto segna il secondo fallimento del club cittadino di calcio dopo quello del 2008 dell’era Malavolta, la terza scomparsa dal calcio professionistico dopo anche quella del 2015 per i noti fatti di giustizia extrasportiva. Adesso l’unica possibilità di ripartire, eventualmente, dalla Serie D è con l’iniziativa del sindaco Gianguido D’Alberto, attraverso la manifestazione di interesse e il percorso previsto dall’ex lodo Petrucci.
La parola fine sul calcio di Lega Pro l’ha scritta la sezione Prima Ter del Tar Lazio (Francesco Arzillo, Presidente ed Estensore, Rosa Perna, Consigliere e
Matthias Viggiano, Referendario), dopo l’udienza di ieri, con l’ordinanza depositata questa mattina. Com’era prevedibile, al di là delle superficiali speranze della vecchia e nuova dirigenza biancorossa, sulla situazione del Teramo (e sulla decisione dei giudici) non ha pesato tanto il famigerato indice di liquidità, quanto l’aspetto fiscale relativo al mancato pagamento dei debiti Iva, una vicenda lunga che si trascina dal 20015 e che coinvolge tre generazioni di dirigenti, dal presidente Campitelli al presidente Davide Ciaccia, passando per la gestione Iachini.
La sentenza (che potete leggere in fondo a questa pagina) chiude un’odissea lunga tre mesi, da una Serie C ottenuta sul campo con grandi sofferenze, e persa a tavolino. Per il Teramo calcio si apre forzatamente una stagione nuova, per le dirigenze una storia extrasportiva che molto probabilmente finirà nelle aule dei tribunali, perchè la società che resta senza titolo sportivo si dovrà preparare necessariamente ad affrontare un percorso che dovrà chiarire proprietà e responsabilità della situazione debitoria e altro.
Leggi qui la sentenza del Tar Lazio