Urla, calci a sedie e banconi, alcuni in lacrime, si scatena la rabbia dei tanti genitori, fratelli o sorelle delle 29 vittime: “Questi hanno una discarica al posto del cuore”
PESCARA – Urla, calci a sedie e banconi dell’aula del processo, ma c’è anche chi piange. Così la reazione dei parenti delle vittime alla lettura della sentenza. “Questi qui hanno una discarica al posto del cuore! Speriamo nell’appello, ma se questo è l’andazzo non spero più niente, devo solo salvagardare la mia vita per portare avanti il nome di mia figlia“. Così, pochi istanti dopo la lettura della sentenza, il padre di Jessica Tinari, morta nel resort di Farindola a 24 anni insieme al fidanzato Marco Tanda.
«Noi pretendiamo rispetto dalle istituzioni, paghiamo con le nostre tasse i loro lauti stipendi e questi delinquenti ci trattano in questo modo. Meglio che stia zitto, sennò non so cosa posso dire – conclude allontanandosi tra le lacrime -”. Urla in aula Francesco D’Angelo, fratello di Gabriele D’Angelo, cameriere dell’hotel, morto nel crollo: “Sei anni buttati qua dentro! Per fare che? Tutti assolti, il fatto non sussiste! Quattro minuti di chiamata! Chi ha chiamato mio fratello? Chi ha chiamato? – urla disperato ricordando le telefonate di Gabriele dirette verso la Prefettura la mattina del 18 gennaio 2017. D’Angelo, alle 11.38, circa cinque ore prima della valanga, chiamò il Centro coordinamento soccorsi della prefettura per chiedere di liberare la strada e consentire agli ospiti dell’hotel di lasciare la struttura.
“Signor giudice non finisce qui“, così si è rivolto al gup Sarandrea, Giampaolo Matrone, uno dei sopravvissuti della tragedia dell’hotel Rigopiano di Farindola, che ha passato oltre 60 ore sotto la neve prima di essere soccorso ed ha perso la compagna di 33 anni, Valentina Cicione. “E’ uno schifo, è un’altra volta morta l’Italia. Una sentenza del genere è una vergogna. Vorrei far passare un minuto delle 62 ore che ho passato là sotto al giudice, o un mese di questi sei anni passati a lottare insieme per poi arrivare a sentirci dire che sono tutti assolti. Alla fine ce lo dice lui di che cosa sono morti le vittime, forse di freddo?”. L’uomo è stato poi allontanato dalle forze dell’ordine dall’aula.
“Uno che porta un mazzo di fiori dove hanno ucciso il figlio lo condannano a tre mesi di carcere, mentre tutti quelli che hanno ammazzato 29 persone, tra cui mio
figlio, li assolvono“. E’ stato l’amaro commento invece di Alessio Feniello, padre del 28enne Stefano, un’altra delle 29 vittime, Sull’eventuale appello: “Secondo voi questo appello serve?”, risponde Feniello. “Dopo una sentenza del genere – aggiunge – a cosa serve l’appello? Dopo 6 anni di lavoro della Procura, il magistrato non ha preso in considerazione quello che la Procura ha detto. A cosa serve fare appello? Secondo il mio punto di vista, a niente. Servirà solo a spendere i 17mila euro di risarcimento. Mio figlio vale 17 mila euro. Questo è il risarcimento che ha riconosciuto a me e mia moglie. Siamo la vergogna dell’Italia. Come si fa ad emettere una sentenza del genere? Fino a un’ora fa avevo fiducia in quel magistrato. Avevo riacquistato fiducia nella magistratura ascoltando i pubblici ministeri nei giorni passati. Dopo una sentenza del genere, quale fiducia posso avere io a 61anni? Cosa posso insegnare ai giovani di oggi? Di fidarsi della magistratura? Alla fine mio figlio chi l’ha ucciso?“.