Il candidato sconfitto accusa il voto disgiunto e quei “giocatori che hanno giocato per perdere” all’interno del centrodestra: “Ricordo che sono stati loro a venire da me. Quando si fa una scelta poi bisogna essere leali“
TERAMO – Nell’analisi del voto, Carlo Antonetti attribuisce la sua sconfitta al voto disgiunto e a ciò che questo lo ha originato: il tradimento politico di parte della sua squadra. Ne ha soprattutto per la Lega, ma non risparmia nemmeno Paolo Gatti e la lista di Futuro In. Insomma, il 18% di ritardo rispetto a Gianguido D’Alberto, ha seminato morti e feriti nella coalizione di centrodestra. “Non tutta la squadra ha giocato per vincere – ha esordito Antonetti -. Ci sono giocatori, dentro casa nostra, che hanno giocato per perdere. E questo è un profilo grave, perchè significa non rispettare me e i cittadini che hanno creduto in un progetto. Io quando costruisco le squadre lo faccio per vincere, l’ho ripetuto in campagna elettorale, ma io credevo di aver costruito una squadra con la stessa maglietta e mi sono sbagliato”.
Antonetti ha citando numeri di voto disgiunto che sommerebbero una percentuale di circa il 7% a suo sfavore: in realtà, numeri alla mano, sono stati 556 gli elettori che hanno dato il voto ‘secco’ a D’Alberto e non alle liste, anche se il saldo positivo rispetto alla coalizione è di 1.233 voti (c’era anche la Marroni, no?). La percentuale relativa (1,8%) anche se sommata ai voti di Antonetti, non avrebbe permesso a quest’ultimo di raggiungere il ballottaggio. Ma come ha detto lui, questo sono dettagli numerici.
Piuttosto, resta il dato di una frattura politica che si apre drammaticamente alla vigilia di una proclamazione che dovrebbe portare alla costruzione di una opposizione in consiglio. Sembra infatti che la Lega abbia fatto votare un candidato e la lista del presidente della Provincia (‘In Comune per Te’ schierata con D’Alberto): Antonetti lo ha detto e non è stato difficile individuare quel candidato in Mimmo Sbraccia, ex del Carroccio, transitato nell’altra coalizione alla vigilia delle elezioni. Mettendo da parte il voto disgiunto (importante ma non decisivo per il successo di Gianguido D’Alberto), per capire l’analisi del voto fatta dal candidato del centrodestra sconfitto, Carlo Antonetti, bisogna riavvolgere il nastro di questa campagna elettorale, tornare indietro a come è nata la candidatura: imposta, inutile nasconderlo, dai partiti a Roma. Antonetti non sapeva dei distinguo all’interno dei partiti creati da questa indicazione? O dimentica il ‘cappello’ di Azione sulla sua nomination e come proprio la Lega (con il coordinatore provinciale Jwan Costantini) avesse dichiarato che non avrebbe mai accettato di condividere posti in coalizione con l’onorevole Giulio Cesare Sottanelli e compagni, al punto che la stessa Azione si è travestita da ‘AmoTe Antonetti Sindaco’?
Su questo aspetto Antonetti è stato chiaro: “Si sono dimenticati che sono venuti loro da me, me lo hanno chiesto loro, non li ho chiamati io – dice in conferenza stampa -: ma perchè non hanno scelto avevano Quaresimale (l’assessore regionale della Lega, ndr)? Ce l’avevano il candidato… Quando si fa una scelta bisogna essere leali e In Consiglio comunale io porterò lealtà, correttezza e rispetto dei cittadini: questo è il mio modo di essere, la mia storia, la mia vita“. Antonetti fa differenza tra “chi ha giocato con la maglia dell’avversario e chi ha giocato con la propria” per affondare la spada anche su Futuro In “che ha ottenuto un grosso risultato”, ma “qualche candidato ha giocato per il voto disgiunto“, paragonandolo in definitiva, ricorrendo ancora alla parafrasi sportiva, a quel giocatore “dispiaciuto per la sconfitta ma che è contento per aver realizzato 30 punti“. Forse siamo solo all’inizio: il centrodestra cerca ancora una sua identità, ma ha cinque anni per trovarla.